Giurisprudenza
Illecita intermediazione di manodopera.
L’illecita intermediazione di manodopera, ai sensi della legge n. 1369/1960, 
  sussiste nel caso in cui l’appalto abbia ad oggetto la messa a disposizione 
  del committente di una prestazione lavorativa, lasciandosi all’appaltatore 
  – datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto 
  (retribuzione, assegnazione delle ferie, assicurazione della continuità 
  della prestazione mediante le opportune sostituzioni), ma senza una reale organizzazione 
  della prestazione stessa finalizzata ad un risultato produttivo autonomo. Cassazione 
  sez. Lavoro, del 19 dicembre 2002, sentenza n. 18098
  
  Le mansioni superiori e l’art. 2126 c.c.
 Diverso fenomeno dello svolgimento di attività lavorativa da parte 
  di chi non è dipendente pubblico - trattamento giuridico ed economico 
  dei pubblici dipendenti - l’atto di inquadramento. Non è invocabile, 
  al fine di rendere rilevanti le mansioni superiori, l’art. 2126 c.c., 
  il quale riguarda il diverso fenomeno dello svolgimento di attività lavorativa 
  da parte di chi non è dipendente pubblico e non può quindi incidere 
  sui principi e la portata dei provvedimenti che individuano il trattamento giuridico 
  ed economico dei pubblici dipendenti e non consente di disapplicare l’atto 
  di inquadramento, emanato in conformità di leggi o regolamenti specie 
  se divenuto inoppugnabile. (cfr. Con. Stato Ad. Plen. 18 novembre 1992, n. 22). 
  Consiglio di Stato Sezione VI, del 12 dicembre 2002, sentenza n. 6798
  
  La valida costituzione del contratto di lavoro a termine - forma scritta 
  - l’apposizione del termine - sottoscrizione del lavoratore.
Per la valida costituzione del contratto di lavoro a termine , pur essendo ammissibile che la dichiarazione di volontà e l’apposizione del termine siano contenuti in documenti separati, sussiste la necessità che la lettera di assunzione del datore di lavoro contenga anche la sottoscrizione del lavoratore apposta in un momento anteriore o, almeno, contemporaneo all’inizio del rapporto. Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, dell’11 dicembre 2002, sentenza n. 17674
I comportamenti tenuti dal lavoratore nella vita privata - rapporto fiduciario - licenziamento.
 I comportamenti tenuti dal lavoratore nella vita privata sono, in linea di 
  massima, irrilevanti ai fini della lesione del rapporto fiduciario. Tuttavia, 
  ciò non ha carattere illimitato in quanto, allorché per la loro 
  gravità siano tali da far ritenere il lavoratore inidoneo alla prosecuzione 
  del rapporto, il datore di lavoro può procedere al licenziamento, soprattutto 
  nell’ipotesi in cui sia richiesto un ampio margine di fiducia esteso alla 
  serietà dei comportamenti privati del lavoratore. Cassazione sez. Lavoro, 
  del 10 dicembre 2002, sentenza n. 17562
  
  Ferie non godute - il diritto al pagamento dell’indennità 
  sostitutiva. 
Qualora il lavoratore non abbia goduto delle ferie e sia divenuto impossibile 
  per il datore di lavoro, anche senza sua colpa, consentirne la fruizione, ha 
  il diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva, che ha natura 
  retributiva, in quanto rappresenta la corresponsione del valore di prestazioni 
  non dovute e non restituibili in forma specifica, in misura pari alla retribuzione. 
  Corte di Cassazione, del 9 novembre 2002, sentenza n. 15776
  
  La liquidazione di interessi e rivalutazione monetaria - il D.M. 1 settembre1998, 
  n. 352 è insuscettibile di applicazione retroattiva - la disciplina vigente 
  all'epoca della maturazione del diritto.
 Per quel che concerne la liquidazione di interessi e rivalutazione monetaria, 
  sostengono gli appellanti che non andavano seguite le prescrizioni contenute 
  nel regolamento approvato con il D.M. 1 settembre1998, n. 352, in quanto insuscettibile 
  di applicazione retroattiva. Sennonché, la molteplicità delle 
  argomentazioni impiegate dagli appellanti cozza contro un dato incontrovertibile: 
  che il regolamento ha contenuto in parte procedimentale ed in parte ricognitivo 
  della normativa esistente nei diversi periodi. Per cui è esclusa in radice 
  la possibilità di una applicazione retroattiva di disposizioni sostanziali 
  contenenti una diversa disciplina del rapporto di credito. Tanto è vero 
  che l'articolo 2, comma 2, del regolamento stabilisce con chiarezza come "gli 
  interessi legali e la rivalutazione monetaria sono liquidati secondo la disciplina 
  vigente all'epoca della maturazione del diritto. Qualora l'obbligo di pagamento 
  comprenda più periodi diversamente regolati, la liquidazione avviene 
  in conformità alla disciplina vigente in ciascun ambito temporale." 
  Consiglio di Stato, Sezione V del 9 dicembre 2002, sentenza n. 6772
  
  La nullità dell’atto costitutivo del rapporto di pubblico 
  impiego comporta unicamente la sussistenza di un rapporto lavorativo di fatto 
  con le conseguenze favorevoli di cui all’art. 2126 c.c. - l’elusione 
  di cogenti norme legislative - la responsabilità personale degli amministratori.
 Come è noto, la questione dell’applicabilità o meno alle 
  pubbliche amministrazione del principio secondo cui, in caso di appalto di mere 
  prestazioni di lavoro, i prestatori di lavoro vengono considerati a tutti gli 
  effetti alle dipendenze del soggetto che abbia utilizzato le loro prestazioni 
  lavorative, ha dato luogo ad orientamenti divergenti, ritenendosi solo inizialmente 
  la piena applicabilità dell’art. 1 L. n.1369/1960 (V. le decisioni 
  di questa Sezione n. 326 dell’8.5.1986, invocata dall’appellante, 
  e n. 396 del 27.4.1990). Successivamente, tale applicabilità è 
  stata limitata agli Enti pubblici economici o comunque in relazione alle attività 
  imprenditoriali degli enti pubblici non economici (V. le decisioni di questa 
  Sezione n. 1499 del 30.10.1995 e n. 1034 del 8.7.1998). L’indirizzo più 
  recente, cui si aderisce, è nel senso che detto principio di favore del 
  lavoratore non può avere la stessa portata nei confronti del datore di 
  lavoro privato e di quello pubblico, anche se in entrambi i casi interviene 
  l’elusione di cogenti norme legislative. Si deve tener conto nel settore 
  pubblico della regola del pubblico concorso di cui all’art. 97 Cost. (V. 
  recentemente, con riferimento anche ai concorsi interni, Corte cost. n.194 del 
  16.5.2002), a tutela non solo dell’interesse pubblico alla scelta dei 
  migliori, mediante una selezione aperta alla partecipazione di coloro che siano 
  in possesso dei prescritti requisiti, ma anche del diritto dei potenziali aspiranti 
  a poter partecipare alla relativa selezione (V. le decisioni di questo Consiglio, 
  A.P. n.2 del 29.2.1992; Sez. IV n. 4188 del 29.7.2000; Sez. V n.1859 del 4.4.2002; 
  sez. VI n.2272 del 29.4.2002). La regola costituzionale del pubblico concorso 
  viene poi concretamente salvaguardata con una serie di disposizioni legislative 
  che espressamente comminano la nullità dell’assunzione effettuata 
  senza osservanza delle prescritte procedure selettive e la responsabilità 
  personale degli amministratori che vi hanno provveduto con riguardo sia alle 
  Amministrazioni statali che alle altre amministrazioni pubbliche, comprese le 
  USL (art. 3 D.P.R. 3.1.1957 n. 3; art.12 D. Leg. C.P.S. 4.4.1947 n. n.207; art. 
  5 L. 8.1.1979 n. 3; art.6 L. 20.3.1975 n.70; art.9 D.P.R. 20.12.1979 n.761 ed 
  art. 14 L. 20.5.1985 n.207; art. 36 D. L.vo 3.2.1993 e successive modificazioni; 
  art.36 D. L.vo 30.3.2001 n. 165). ). Per cui, la nullità dell’atto 
  costitutivo del rapporto di pubblico impiego comporta unicamente la sussistenza 
  di un rapporto lavorativo di fatto con le conseguenze favorevoli di cui all’art. 
  2126 c.c.. Consiglio di Stato, Sezione V del 9 dicembre 2002, sentenza n. 6717
  
  La questione della retribuibilità o meno delle mansioni superiori 
  svolte dal dipendente pubblico - presupposti.
La questione della retribuibilità o meno delle mansioni superiori svolte 
  dal dipendente pubblico ha dato luogo ad orientamenti giurisprudenziali non 
  sempre univoci, ma ormai può ritenersi consolidato l'indirizzo di questo 
  Consiglio nel senso che per la retribuibilità occorrono non solo un'espressa 
  previsione normativa ma anche altri tre presupposti e cioè un preventivo 
  provvedimento di incarico (senza alcuna valenza per attestati successivi), la 
  disponibilità del relativo posto in organico (Sez. V n.1447 del 12.10.1999, 
  sez. VI n.1119 del 18.7.1977, A.P. n.22 del 18.11.1999), e che l’incarico 
  concerna mansioni della qualifica immediatamente superiore (V. la decisione 
  di questa Sezione n.1188 del 27.9.1999), come del resto recentemente confermato 
  dall'art. 52 D. L.vo 30.3.2001 n.165. Consiglio di Stato, Sezione V del 9 dicembre 
  2002, sentenza n. 6706
  
  L’indennità di mobilità - il termine di decadenza 
  fissato per l’indennità di disoccupazione. 
Per ottenere l’indennità di mobilità è necessario 
  presentare la domanda all’INPS entro 68 giorni dalla cessazione del rapporto 
  di lavoro. La Corte ha, in sostanza, ritenuto applicabile anche all’indennità 
  di mobilità il termine di decadenza fissato per l’indennità 
  di disoccupazione dall’art. 129 del R.D.L. n. 1827/1935. Cassazione Sezioni 
  Unite, del 6 dicembre 2002, sentenza n. 17389
  
  La disciplina del trasferimento di azienda.
 La disciplina del trasferimento di azienda trova applicazione in tutte le 
  ipotesi di trasferimento anche di una singola attività d’impresa 
  "sempre che sia riscontrabile un complesso di beni o di rapporti interessati 
  al fenomeno traslativo" ma esclusivamente riguardo a rami di azienda dotati 
  di autonomia funzionale e preesistenti alla vicenda traslativa. Cassazione sez. 
  Lavoro, del 4 dicembre 2002, sentenza n. 17207
  
  La normativa sul condono previdenziale - reato di omessa presentazione 
  all’INPS delle denuncie obbligatorie.
 La normativa sul condono previdenziale è applicabile al reato di omessa 
  presentazione all’INPS delle denuncie obbligatorie previsto dall’art. 
  37 della legge n. 689/1981. Cassazione penale, Sezione III del 3 dicembre 2002, 
  sentenza n. 40563
  
  L’attività didattica svolta dal religioso non costituisce 
  prestazione lavorativa ai sensi dell’art. 2094 c.c., bensì opera 
  di evangelizzazione regolata esclusivamente dal diritto canonico.
 L’attività didattica svolta dal religioso non alle dipendenze 
  di terzi ma nell’ambito della propria congregazione e quale componente 
  di essa, non costituisce prestazione lavorativa ai sensi dell’art. 2094 
  c.c., soggetta, come tale, alla disciplina sulla prestazione di lavoro subordinato, 
  bensì opera di evangelizzazione, in adempimento dei fini della congregazione 
  stessa e regolata esclusivamente dal diritto canonico ex artt. 1 e 2 della legge 
  n. 810/1929 e 7 della Costituzione. Cassazione sez. Lavoro del 2 dicembre 2002, 
  sentenza n. 17096
  
  La costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato 
  - il valore delle pronunce giurisdizionali cautelari - atti colpiti da nullità 
  di diritto - rilevabilità d’ufficio dal giudice - gli atti genetici 
  previsti dalla normativa di settore. 
Con il solo supporto di pronunce giurisdizionali cautelari, le quali espressamente 
  non hanno inteso determinare alcuna aspettativa di riconoscimento del rapporto 
  di pubblico impiego, non possono trovare accoglimento la pretesa dei ricorrenti 
  di veder accertata in proprio favore la costituzione di un rapporto di lavoro 
  subordinato a tempo indeterminato. In ogni caso, un tale rapporto sarebbe ineludibilmente 
  sorto sulla base di atti colpiti da nullità di diritto (per i dipendenti 
  degli Enti locali dall’art. 5 L. n. 3/79) rilevabile d’ufficio dal 
  giudice, con la conseguenza che, tra l’altro, il giudice amministrativo 
  non potrebbe accertare un rapporto che non è sorto, non sussiste e non 
  può giuridicamente sussistere. Né potrebbe comunque trovare applicazione 
  l’art. 2 della L. n. 230/62, che ha previsto i casi in cui un rapporto 
  di lavoro a tempo determinato si converte in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, 
  atteso che l’art. 97, comma 3, Cost. e le leggi di settore impongono che 
  i rapporti di cui si tratta sono configurabili solo in presenza di uno degli 
  atti genetici previsti dalla normativa di settore (cfr. ex multis Cons. Stato, 
  V, 1 dicembre 1997 n.1459; 23 gennaio 1998 n. 90; 28 gennaio 1998 n. 111; VI 
  , 20 ottobre 1999 n. 1508). Consiglio di Stato Sezione V del 2 dicembre 2002 
  n. 6627
  
  Modalità di svolgimento della prestazione lavorativa - accertamento 
  della subordinazione - principi di diritto.
 E’ costante giurisprudenza che, ai fini dell’accertamento della 
  subordinazione, deve attribuirsi rilevanza più che al formale contenuto 
  del contratto ("nomen juris") alle concrete modalità di svolgimento 
  della prestazione lavorativa, tenendo conto altresì dell’evolversi 
  dei sistemi di organizzazione del lavoro, che spesso comportano un’attenuazione 
  della soggezione del lavoratore al datore di lavoro. Inoltre ha fissando per 
  il giudice di rinvio i seguenti principi di diritto: 1) anche in presenza del 
  "nomen juris" adottato dalle parti per la qualificazione del rapporto 
  tra le stesse instaurato come rapporto di lavoro subordinato, occorre avere 
  riguardo alla volontà effettiva delle parti medesime, di talché 
  la qualificazione propria del rapporto deve desumersi, oltre che da tale dato 
  formale, anche, e in misura prevalente, dalle concrete modalità della 
  prestazione e, in generale, di attuazione del rapporto; 2) la subordinazione 
  è elemento essenziale del rapporto di lavoro dipendente; essa, tuttavia, 
  può essere presente anche in forme attenuate in ragione della particolare 
  organizzazione del lavoro e del tipo di prestazione (specie ove si tratti di 
  prestazioni semplici, dello stesso genere o ripetitive) e può essere 
  ravvisata, in tali specifiche ipotesi concrete, nella messa a disposizione del 
  datore di lavoro delle energie lavorative del lavoratore con continuità, 
  fedeltà e diligenza, secondo le direttive impartite dalla controparte; 
  3) anche la sussistenza e la consistenza di tali direttive deve essere valutata 
  in relazione alla specificità delle prestazioni e può essere ravvisata, 
  in presenza di lavorazioni di particolare semplicità e retribuite in 
  base al prodotto realizzato, in indicazioni date all’inizio del rapporto 
  o nell’ambito di un precedente rapporto di lavoro subordinato poi solo 
  apparentemente oggetto di successiva novazione in rapporto di lavoro autonomo; 
  4) l’effettività di siffatta novazione presuppone oltre alla enunciazione 
  ad opera delle parti dell’accordo novativo di un diverso "nomen juris", 
  quale indice della concorde volontà di mutare il regime giuridico derivante 
  dall’accordo precedente, anche un effettivo mutamento dello svolgimento 
  delle prestazioni lavorative come conseguenza del venir meno del vincolo di 
  assoggettamento del lavoratore al datore di lavoro, ancorché rimanga 
  eventualmente identico il contenuto della prestazione. Cassazione Sezione Lavoro 
  del 27 novembre 2002 n. 16805
  
  Criteri identificativi del rapporto di subordinazione.
 Il requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato è il vincolo 
  di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare 
  del datore di lavoro, il quale discende dall'emanazione di specifici ordini, 
  oltrechè dall'esercizio di un'assidua attività di vigilanza e 
  controllo dell'esecuzione delle prestazioni. L'esistenza di tale vincolo va 
  concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell'incarico 
  conferito al lavoratore ed al modo della sua attuazione. Cassazione Civile, 
  sez. lavoro del 21/11/2001 Sentenza n. 14664
  
  Lavoro subordinato - estinzione del rapporto - in genere - sopravvenuta 
  inidoneità totale del lavoratore - conseguente risoluzione del rapporto 
  per impossibilità della prestazione - configurabilità - necessità 
  di recesso da parte del datore di lavoro - esclusione - previsioni derogatorie 
  da parte dell'autonomia privata - ammissibilità - esclusione - fattispecie 
  relativa alla previsione del regolamento del Banco di Sicilia di dispensa dal 
  servizio dei dipendenti divenuti totalmente inidonei
. In caso di sopravvenuta inidoneità totale del lavoratore subordinato 
  alla prestazione lavorativa, si configura un caso di impossibilità assoluta 
  per il venir meno della causa del contratto, non riconducibile ai casi di sospensione 
  legale previsti dagli art. 2110 e 2111 cod. civ., con la conseguenza che - al 
  verificarsi di tale impossibilità assoluta e diversamente da quanto avviene 
  per il caso di impossibilità relativa - si determina la risoluzione del 
  rapporto, senza necessità che la parte interessata manifesti mediante 
  il negozio di recesso l'assenza di un suo interesse al mantenimento del vincolo 
  giuridico (ormai privo di valore), dovendosi anche escludere, ai sensi dell'art. 
  1322, secondo comma, cod. civ., che l'autonomia privata possa mantenere ugualmente 
  in vita il rapporto contrattuale (nella specie, la S.C. ha cassato la decisione 
  di merito che, interpretando l'art. 94 del regolamento del personale del Banco 
  di Sicilia, aveva ritenuto che la previsione, ivi contenuta, di dispensa dal 
  servizio dei dipendenti divenuti totalmente inidonei comportasse il diritto 
  potestativo dell'azienda di recedere o meno dal rapporto). Corte Cassione, del 
  20.11.2002 Sezione Lavoro, Sentenza. n. 16375 
  
  L'attività lavorativa prestata dal vigile urbano - assicurazione 
  contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali - in genere - attività 
  protette - lavoro prestato dal vigile urbano addetto, a piedi, alla viabilità 
  stradale - inclusione - fondamento
. L'attività lavorativa prestata dal vigile urbano addetto, a piedi, 
  alla viabilità stradale rientra tra le attività protette dall'assicurazione 
  generale contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, dovendosi 
  riconoscere un carattere meramente esemplificativo all'elencazione contenuta 
  nell'art. 1, terzo comma, del d.P.R. n. 1124 del 1965 (che considera il lavoro 
  sulle strade intrinsecamente pericoloso e sottopone all'obbligo assicurativo 
  le persone, ivi indicate, addette ai lavori stradali senza ausilio di macchine 
  mosse dalla persona stessa) e dovendosi considerare che il rischio della strada 
  grava sul vigile urbano "viabilista" in misura almeno uguale che sul 
  vigile "automobilista" (e in maniera diversa che sul comune cittadino), 
  sì da configurarsi anch'esso come di natura professionale e suscettibile, 
  pertanto, della tutela antinfortunistica, in virtù del principio generale 
  secondo cui a parità di rischio infortunistico deve corrispondere parità 
  di tutela. Corte Cassazione, Sez. Lavoro, del 20 novembre 2002, Sent. n. 16364 
  
  
  Lavoro - Iscrizione alla Cassa Nazionale geometri - Ricongiunzione del 
  relativo periodo con quello di iscrizione alla Cassa ingegneri – Presupposti
. L'iscrizione di un architetto o ingegnere all'Inarcassa non è incompatibile 
  con l'iscrizione ad altra forma di previdenza ove quest'ultima non corrisponda 
  all'effettivo esercizio di un'attività lavorativa. est. Conti TRIBUNALE 
  DI MESSINA Giudice Monocratico sez. Lavoro 19/11/2002 
  
  Il contratto collettivo di lavoro - assenze per infortunio sul lavoro
. Il contratto collettivo di lavoro può, legittimamente, disciplinare 
  il controllo delle assenze per infortunio sul lavoro all’interno delle 
  fasce orarie previste per l’assenza per malattia, nelle forme previste 
  dall’art. 5 della legge n. 300/1970. Cassazione sez. Lavoro, del 9 novembre 
  2002, sentenza n. 15773
  
  Mutilati ed invalidi civili totalmente inabili per affezioni fisiche 
  o psichiche - commissioni sanitarie - assistenza continua - l'attribuzione dell’indennità 
  come pure l'entità e la decorrenza della prestazione patrimoniale a carico 
  dell'erario - determinazione per legge del'an e del quantum - verifica dei requisiti.
 La norma invocata dal ricorrente in primo grado (art. 1 della legge 11 febbraio 
  1980, n. 18) dispone che ai mutilati ed invalidi civili totalmente inabili per 
  affezioni fisiche o psichiche di cui agli articoli 2 e 12 della legge 30 marzo 
  1971, n. 118, nei cui confronti le apposite commissioni sanitarie, previste 
  dall'art. 7 e seguenti della legge citata, abbiano accertato che si trovano 
  nell'impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore 
  o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano 
  di un'assistenza continua, è concessa un'indennità di accompagnamento, 
  non reversibile, al solo titolo della minorazione, a totale carico dello Stato, 
  di importo fisso e (art. 3, ultimo comma, legge n. 18 del 1980) con decorrenza 
  dal primo giorno del mese successivo a quello della presentazione della domanda. 
  Da tale disposizione si desume che la legge disciplina compiutamente i requisiti, 
  tutti di carattere oggettivo, alla cui sussistenza è subordinata l'attribuzione 
  dell’indennità come pure l'entità e la decorrenza della 
  prestazione patrimoniale a carico dell'erario. Si desume quindi che, nel concorso 
  dei requisiti prescritti, per un verso l'interesse privato è protetto 
  in maniera incondizionata, per altro verso l'autorità decidente non esercita 
  alcun potere discrezionale, per quanto riguarda sia l'an sia il quantum sia 
  il quando della prestazione patrimoniale pubblica. Infatti, tassativamente determinati 
  dalla legge il quantum ed il quando, l'an è oggetto non già di 
  apprezzamento discrezionale bensì soltanto di verificazione di requisiti, 
  ancorché taluno di questi (condizioni di minorazione) presupponga un 
  accertamento (tecnico) demandato ad un organo sanitario. Il che è quanto 
  dire che l’indennità di cui trattasi è oggetto di un'obbligazione 
  pubblica, cui corrisponde un diritto soggettivo perfetto del privato. Consiglio 
  di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6068 (vedi: sentenza per 
  esteso)
  
  La controversia attinente alla concessione dell'indennità di 
  accompagnamento agli invalidi civili inerisce a posizioni di diritto soggettivo 
  - generale competenza del giudice del lavoro in materia di controversie previdenziali 
  ex art. 442 Cod. proc. civ. - difetto di giurisdizione. 
Contrariamente da quanto affermato dal primo giudice, si deve ribadire che la controversia attinente alla concessione dell'indennità di accompagnamento agli invalidi civili, istituita dalla L. 11 febbraio 1980, n. 18, inerisce a posizioni di diritto soggettivo, atteso che l'interesse dell'invalido civile risulta protetto in forma diretta ed incondizionata e che l'autorità decidente non esercita, nella specie, alcun potere discrezionale, dovendo soltanto constatare la concreta sussistenza delle condizioni, tutte di carattere obiettivo, richieste dalla legge ai fini dell'attribuzione del diritto. Nè la natura autoritativa dell'atto di concessione del beneficio potrebbe desumersi dall'art. 22 della legge n. 118 del 1971 ed in particolare della locuzione, ivi impiegata, di tutela giurisdizionale. Come questo Consiglio di Stato (Sez. V, 19 febbraio 1982, n. 120), ha avuto modo di osservare con riferimento alla concessione della pensione di invalidità, la norma citata, ammettendo la tutela giurisdizionale dinanzi ai competenti organi ordinari e amministrativi, non costituisce norma sul riparto di giurisdizione ma soltanto norma ricognitiva del generale principio di indefettibilità della tutela giurisdizionale di cui agli artt. 24 e 113 Costituzione. Né alcun argomento in contrario è dato desumere dalla norma che prevede l'esperibilità del ricorso al Ministero dell'interno avverso le deliberazioni del comitato provinciale di assistenza e beneficenza pubblica, in quanto i ricorsi amministrativi sono ammessi a tutela non soltanto degli interessi legittimi, ma anche dei diritti soggettivi. Poichè‚ pertanto la controversia concerne diritti soggettivi ed avuto riguardo alla generale competenza del giudice del lavoro in materia di controversie previdenziali ex art. 442 Cod. proc. civ., va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (e pertanto l'inammissibilità del ricorso di primo grado), spettando la giurisdizione al giudice ordinario. Del resto, tale conclusione è confortata sia dall’orientamento della Cassazione a sezioni unite, la quale ha avuto modo di sottolineare la giurisdizione del giudice ordinario a proposito di revoca dell'indennità di accompagnamento (sentenza 13 maggio 1996, n. 4465) sia dal legislatore che, con disposizioni aventi carattere chiaramente interpretativo (cfr. art. 3, comma 2, D.L. 30 maggio 1988, n. 173, convertito con legge 26 luglio 1988, n. 291), ha attribuito al giudice ordinario la cognizione dei ricorsi contro le decisioni del Ministro dell’interno sui reclami proposti avverso le statuizioni delle commissioni sanitarie. La declaratoria di difetto di giurisdizione comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza appellata (art. 34 della legge n. 1034 del 1971). Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6068 (vedi: sentenza per esteso)
L’ambito di operatività dell’assicurazione sugli infortuni per lavoro relativi agli artigiani - rapporto giuridico obbligatorio.
La Suprema Corte ha delimitato l’ambito di operatività dell’assicurazione 
  sugli infortuni per lavoro relativi agli artigiani, osservando che non sono 
  comprese quelle attività svolte nel proprio interesse, di quello dei 
  congiunti ed a titolo di cortesia, poiché non può esservi prestazione 
  lavorativa in senso proprio al di fuori di un rapporto giuridico obbligatorio, 
  sia esso alla base di lavoro subordinato, oppure autonomo, societario o di collaborazione 
  all’impresa familiare, del quale costituisca esecuzione. Cassazione sez. 
  Lavoro, del 6 novembre 2002, sentenza n. 15588
  
  Le indennità c.d. indennità di toga - la "retribuzione pensionabile" 
  - esclusione dalla base di calcolo.
 Le indennità cosiddetta indennità di toga prevista dall'art.14, 
  17° comma, D.P.R. n.43/1990 non possano essere incluse nella base di calcolo 
  di cui si tratta, (computabilità nel trattamento di quiescenza e di previdenza 
  dei dipendenti) nella considerazione della mancanza del carattere stipendiale 
  e del mancato riconoscimento della sua computabilità con apposito provvedimento 
  del Consiglio di Amministrazione (cfr., in tal senso, Cons. St. VI, 15 giugno 
  1998, n.948; 11 maggio 2000, n.2686; 17 luglio 2000, n.3938). Al riguardo questa 
  Sezione, più volte chiamata a pronunciarsi sulle stesse questioni, ha 
  rilevato che le disposizioni in esame – che prevedono l'attribuzione delle 
  indennità anzidette escludendone espressamente il carattere stipendiale 
  – debbono essere interpretate, per i fini che interessano, in correlazione 
  con l'art.5 del Regolamento per il trattamento di previdenza e di quiescenza 
  del personale dell'INAIL approvato con D.M. 30 maggio 1969. Il quale definisce 
  restrittivamente la "retribuzione pensionabile" limitandone il concetto 
  alla "somma delle seguenti competenze: stipendio lordo calcolato per 15 
  mensilità annue; eventuali assegni pensionabili, nonché altre 
  eventuali competenze di carattere fisso e continuativo che siano riconosciute 
  utili ai fini di previdenza e quiescenza con deliberazione del Consiglio di 
  Amministrazione da assoggettarsi all'approvazione del Ministero del Lavoro e 
  della Previdenza Sociale di concerto con quello del Tesoro". Consiglio 
  di Stato, Sezione VI, del 4 novembre 2002, sentenza n. 6013
  
  Il riferimento alla media degli onorari percepiti nell'ultimo triennio - legittimità.
 La Sezione ribadito in più occasioni che la delibera n.407/1982 con 
  la quale l'INAIL ha stabilito di far riferimento alla media degli onorari percepiti 
  nell'ultimo triennio (e non già nell'ultimo anno di attività) 
  deve ritenersi pienamente legittima, conformandosi al criterio sancito dall'art.2121 
  del Codice civile (in tal senso cfr. Cons. St. VI, 11 maggio 2000, n.2686; 10 
  agosto 2000, n.4406; 9 giugno 2001, n.3224). Consiglio di Stato, Sezione VI, 
  del 4 novembre 2002, sentenza n. 6013
  
  Computo delle settantotto giornate di attività di lavoro per il riconoscimento 
  dell’indennità ordinaria di disoccupazione - presupposti. 
Ai fini del computo delle settantotto giornate di attività di lavoro 
  per il riconoscimento dell’indennità ordinaria di disoccupazione, 
  deve tenersi conto non solo delle giornate di effettivo lavoro, ma anche di 
  quelle (non lavorate) per le quali sussista l’obbligo di contribuzione, 
  come le giornate di ferie, ma anche quelle che, comunque maturate in relazione 
  all’attività lavorativa prestata nell’anno di riferimento 
  e dunque, in tal senso, "interne" al rapporto, non siano godute durante 
  il periodo lavorativo, bensì siano "sostituite" da un’indennità 
  ( es. ferie non godute) corrisposta alla cessazione del medesimo rapporto. Corte 
  di Cassazione, Sezione Lavoro, del 23 ottobre 2002, sentenza n. 14956
  
  La regolarizzazione attuata attraverso il versamento estingue i reati 
  in materia di versamento di contributi e premi
 Soltanto la regolarizzazione attuata attraverso il versamento tempestivo, 
  sia pure rateizzato, estingue i reati previsti da leggi in materia di versamento 
  di contributi e premi. Cassazione Sezione Penale Sez. III del 21 ottobre 2002, 
  sentenza n. 35184
  
  La mancata attuazione dell’art. 39 della Costituzione - il contratto 
  collettivo - accordi collettivi stipulati a tempo indeterminato - la facoltà 
  di recesso unilaterale.
 In seguito alla soppressione dell’ordinamento corporativo e della mancata 
  attuazione dell’art. 39 della Costituzione, il contratto collettivo spiega 
  la propria operatività nell’area dell’autonomia privata, 
  per cui la regolamentazione ad esso applicabile è quella dettata per 
  i contratti in generale, e non quella dei contratti collettivi; ne consegue 
  che deve ammettersi la possibilità che accordi collettivi vengano stipulati 
  a tempo indeterminato, ma in questo caso va ammessa anche la facoltà 
  di recesso unilaterale, in quanto essa è rispondente all’esigenza 
  di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio anche in relazione 
  ai contratti collettivi di diritto comune. Cassazione sez. Lavoro del 18 ottobre 
  2002, sentenza n. 14827
  
  L’individuazione dei lavoratori da licenziare - anzianità 
  contributiva - l’interesse primario del lavoratore all’individuazione 
  trasparente dei criteri.
 L’omissione della procedura prevista dall’art. 4 della legge n. 
  223/1991 non può essere sanata dall’accordo sindacale che comprenda 
  l’individuazione dei lavoratori da licenziare sulla base della sola anzianità 
  contributiva e che la legge n. 449/1997 (il ricorso all’esame della Corte 
  riguardava le Ferrovie dello Stato) in materia di riorganizzazione e risanamento 
  delle Ferrovie dello Stato non esclude l’applicazione delle procedure 
  di verifica stabilite dalla legge n. 223/1991. La Corte ha censurato il fatto 
  sostenendo che l’omissione (non sanabile) compromette l’interesse 
  primario del lavoratore all’individuazione trasparente dei criteri. Cassazione, 
  Sezioni Unite del 15 ottobre 2002, sentenza n. 14616
  
  Mobbing sessuale. 
Commette il delitto di atti di libidine violenti ex art. 521 c.p ora sostituito 
  dal delitto di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p., il dirigente che compia 
  nei confronti di un’impiegata atti sessuali, da intendersi in senso ampio 
  come atti connotati dalla manifestazione dell’istinto sessuale contro 
  una persona non consenziente, posti in essere con consapevole volontà 
  da un soggetto e aventi l’idoneità di incidere sulla libertà 
  di disporre del proprio corpo nella sfera sessuale. Cassazione Sezione Penale 
  Sez. III del 14 ottobre 2002, sentenza n. 34297
  
  Ipotesi di non applicabilità dell’art. 18 della legge n. 
  300/1970. 
Nell’ipotesi di scadenza di un contratto illegittimamente stipulato e 
  di comunicazione al lavoratore, da parte del datore di lavoro, della conseguente 
  disdetta, non è applicabile la norma dell’art. 18 della legge n. 
  300/1970, sebbene la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo 
  indeterminato dia diritto al lavoratore di riprendere il suo posto. Cassazione 
  Sezioni Unite dell’8/10/2002, sentenza n. 14381
  
  Licenziamento del dirigente - vizi di motivazione - violazione delle 
  regole di ermeneutica contrattuale
. Anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 108/1990, la limitata 
  tutela del licenziamento del dirigente trova fonte unicamente nella previsione 
  generalmente contenuta nei contratti collettivi, attraverso il richiamo alla 
  "giustificatezza" del provvedimento espulsivo, e cioè ad un 
  requisito il cui contenuto, trattandosi di un istituto di origine contrattuale, 
  va enucleato dal giudice di merito con indagine interpretativa della clausola 
  collettiva ai sensi degli articoli 1362 e ss. del codice civile, censurabile 
  in sede di legittimità solo per vizi di motivazione o per violazione 
  delle regole di ermeneutica contrattuale. Cassazione Sez. Lavoro del 5 ottobre 
  2002, sentenza n. 14310
  
  Lavoratori in mobilità - diritto di precedenza - condizioni e 
  limiti.  
Esiste un diritto soggettivo dei lavoratori collocati in mobilità alla 
  precedenza nelle assunzioni decise dal loro ex datore di lavoro: se quest’ultimo 
  procede all’assunzione degli altri lavoratori, nel periodo in cui vige 
  il diritto di precedenza, deve dare la prova che l’inadempimento è 
  stato determinato da causa a lui non imputabile. Corte di Cassazione, Sezione 
  Lavoro, del 5 ottobre 2002, sentenza n. 14293
  
  Assunzione obbligatoria di lavoratori invalidi - obbligo legale a contrarre 
  - attribuzione all’invalido mansioni idonee e compatibili con la propria 
  disabilità. 
In tema di assunzione obbligatoria di lavoratori invalidi discende un obbligo 
  legale a contrarre in capo al datore di lavoro presso il quale l’invalido 
  sia stato avviato, semprechè esistano in azienda posizioni compatibili 
  con il grado ed il tipo di menomazioni da cui è affetto il soggetto protetto. 
  Da ciò ne consegue che se il datore di lavoro è tenuto ad attribuire 
  all’invalido mansioni idonee e compatibili con la propria disabilità, 
  non potendo validamente opporre una generica incollocabilità, non è 
  però tenuto a modificare od adeguare, sostenendo costi aggiuntivi, la 
  sua organizzazione aziendale alle condizioni di salute del lavoratore protetto, 
  né in particolare, a creare per lui un nuovo posto di lavoro concentrando 
  in una sola unità mansioni non difficoltose già facenti parte, 
  con altre più complesse, dei compiti degli altri lavoratori. Cassazione, 
  Sez. Lavoro del 26 settembre 2002, sentenza n. 13960
  
  La sopravvenuta impossibilità temporanea della prestazione determinata 
  da un evento estraneo al rapporto e non imputabile al dipendente. La sopravvenuta 
  impossibilità temporanea della prestazione determinata da un evento estraneo 
  al rapporto e non imputabile al dipendente, autorizza il datore di lavoro a 
  recedere dal rapporto, in mancanza di un suo interesse apprezzabile alle future 
  prestazioni lavorative. Ciò presuppone la dimostrazione da parte del 
  datore di lavoro sia delle ragioni tecnico produttive che rendono impossibile 
  le rimozioni del temporaneo impedimento, che le ragioni ostative all’impiego 
  del lavoratore, in mansioni analoghe almeno equivalenti, in luoghi diversi. 
  Cassazione Sez. Lavoro del 19 settembre 2002, sentenza n. 13732
  
  Licenziamento intimato oralmente - l’inefficacia dell’atto - nullità 
  per mancanza della forma scritta "ad substantiam". In tema di licenziamento 
  intimato oralmente l’inefficacia dell’atto consegue alla sua nullità 
  per mancanza della forma scritta "ad substantiam", la domanda con 
  la quale il lavoratore chieda la dichiarazione di nullità del licenziamento 
  non si pone in contrasto con la contestazione del licenziamento per il fatto 
  di essere stato intimato in forma orale; né il fatto che il lavoratore 
  abbia formulato anche altre conclusioni o abbia attivato la procedura conciliativa 
  presso la Direzione provinciale del Lavoro può ritenersi incompatibile 
  con la volontà del lavoratore stesso di far valere l’inefficacia 
  del licenziamento per tale ragione. Cassazione, Sez. Lavoro del 16 settembre 
  2002, sentenza n. 13543
  
  La validità del termine di durata del rapporto di lavoro nella misura 
  massima prevista per i dirigenti di azienda. E’ ammissibile la validità 
  del termine di durata del rapporto di lavoro nella misura massima prevista per 
  i dirigenti di azienda (5 anni per effetto dell’art. 10, comma 4, D.L.vo 
  n. 368/2001), al di fuori dei casi consentiti per i lavoratori in possesso di 
  qualifica inferiore, pur se la qualifica di dirigente sia stata convenuta derogando 
  il contratto collettivo e indipendentemente dalle mansioni effettivamente svolte 
  ex art. 2103 c.c.. Cassazione civile sez. lavoro del 12 settembre 2002, sentenza 
  n. 13326 
  
  L’atto di dimissioni del lavoratore - l’annullabilità dell’atto 
  - la minaccia del licenziamento - valutazione. Ai fini dell’annullabilità 
  dell’atto di dimissioni del lavoratore ottenuto con la minaccia del licenziamento, 
  vanno valutate, oltre all’oggettiva natura intimidatoria o meno dell’invito 
  alle dimissioni anche, in modo compiuto ed approfondito, le modalità 
  fattuali del comportamento tenuto dal datore di lavoro. Cassazione sez. Lavoro 
  del 29 agosto 2002, sentenza n. 12693
  
  La violazione delle norme antiriciclaggio e la distrazione di fondi - legittimo 
  il licenziamento per giusta causa. La S.C. ha confermato la sentenza impugnata 
  che aveva giudicato legittimo il licenziamento per giusta causa di un bancario 
  per violazione di norme antiriciclaggio. La fattispecie concerneva un caso in 
  cui il dipendente aveva partecipato attivamente ad una serie di operazioni bancarie 
  comportanti la violazione delle norme antiriciclaggio e la distrazione di fondi, 
  essendo tra l'altro legato da rapporti di parentela e affinità con gli 
  amministratori della società coinvolta nelle operazioni bancarie. Secondo 
  la Suprema Corte: il Tribunale, sulla base di una puntuale ed analitica ricostruzione 
  di una serie di vicende ha valutato quale personalità professionale del 
  lavoratore licenziato emergesse in relazione ad esse, traendone il convincimento 
  di comportamenti non segnati da trasparenza ed irreprensibilità, e tali, 
  quindi, in relazione al contesto oggettivo ed ai soggetti che vi erano coinvolti, 
  da determinare una più che giustificata rottura del rapporto di fiducia 
  fra lavoratore e datore di lavoro. Cassazione sez. Lavoro del 22 agosto 2002, 
  sentenza n. 12414
  
  Trattamento di fine rapporto - concetto di “retribuzione utile” 
  ai fini del calcolo. Il comma 2 dell’art. 2120 c.c., ha disposto soltanto 
  che debbano esser esclusi dal calcolo unicamente i compensi aventi carattere 
  sporadico od occasionale. Con tale definizione si intendono solo quelli collegati 
  a ragioni aziendali del tutto imprevedibili e fortuite mentre, all’opposto, 
  si devono computare ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto 
  gli emolumenti collegati al rapporto lavorativo o connessi alla particolare 
  organizzazione del lavoro. Cassazione del 22 agosto 2002, sentenza n. 12411 
L’importo della retribuzione da assumere a base di calcolo dei contributi 
  previdenziali - c.d. "minimale contributivo" - c.d. "minimo retributivo 
  costituzionale" - determinazione della giusta retribuzione - la quattordicesima 
  mensilità e l’indennità "una tantum". L’importo 
  della retribuzione da assumere a base di calcolo dei contributi previdenziali 
  non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori 
  di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi 
  stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base 
  nazionale (c.d. "minimale contributivo"), secondo il riferimento ad 
  essi fatto "con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale "dall’art. 
  1 del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, convertito nella legge 7 dicembre 1989, n. 
  389, senza le limitazioni derivanti dall’applicazione dei criteri di cui 
  all’art. 36 della Costituzione (c.d. "minimo retributivo costituzionale"), 
  che sono rilevanti solo a quando a detti contratti si ricorre "con incidenza 
  sul distinto rapporto di lavoro" ai fini della determinazione della giusta 
  retribuzione. Da ciò discende che emolumenti come la quattordicesima 
  mensilità e l’indennità "una tantum" , previste 
  dai contratti collettivi nazionali, si valutano nella base imponibile sulla 
  quale sono commisurate le aliquote contributive, mentre sarà escluso 
  l’emolumento quale il "terzo elemento" contemplato dal contratto 
  integrativo provinciale. Cassazione Sezioni Unite del 29 luglio 2002, sentenza 
  n. 11199
  
  Il credito per rivalutazione monetaria ed interessi legali - prestazioni pensionistiche 
  per invalidità civile - prescrizione - applicabilità, anche in 
  caso di avvenuto pagamento della somma capitale - decorrenza della prescrizione 
  - individuazione - criteri - pagamento dei ratei arretrati - effetto interruttivo 
  "ex" art. 2944 cod. civ. - esclusione - limiti. Il credito per rivalutazione 
  monetaria ed interessi legali, dovuti sui ratei delle prestazioni assistenziali 
  spettanti agli invalidi civili e loro corrisposti in ritardo, si prescrive, 
  in dieci anni a decorrere, per le somme calcolate sul primo rateo, dal centoventunesimo 
  giorno successivo alla presentazione della domanda amministrativa di prestazione 
  e, per le somme calcolate con riferimento ai ratei successivi, dalla scadenza 
  di ciascuno di essi, senza che possa attribuirsi al mero pagamento dei ratei 
  arretrati l'effetto interruttivo di cui all'art. 2944 cod. civ., salvo che il 
  "solvens" non abbia considerato parziale il pagamento stesso, con 
  riserva di provvedere successivamente al versamento di somme ulteriori; e senza 
  che possa il pagamento della sola somma capitale ritenersi sufficiente a costituire 
  liquidazione della prestazione, tale da determinare l'applicabilità della 
  prescrizione quinquennale. Corte di Cassazione, Sez. Unite, Sentenza del 25.7.2002, 
  n. 10995 
  
  Trasferimento d’azienda - diritti dei lavoratori - consenso - cessione 
  negoziale. Nell’accezione allargata del trasferimento d’azienda 
  dopo il D. L.vo n. 18/2001, esso può configurarsi con riferimento alla 
  posizione del lavoratore come successione legale nel contratto che, non richiedendo 
  il consenso del contraente ceduto, non è assimilabile alla cessione negoziale 
  per la quale il suddetto consenso è elemento costitutivo della fattispecie 
  di cui ll’art. 1406 c.c.. Cassazione del 22 luglio 2002, sentenza n. 10701 
Retribuzioni varie - la festività ricorra di domenica - ulteriore retribuzione. 
  Qualora la festività ricorra di domenica, ai lavoratori retribuiti in 
  misura fissa che in tale giorno riposino, spetta anche un’ulteriore retribuzione 
  corrispondente all’aliquota giornaliera. Ciò trova giustificazione 
  nel fatto che, ove le suddette festività non coincidessero con la domenica, 
  il lavoratore fruirebbe di un giorno in più di riposo e la misura fissa 
  della sua retribuzione lo priverebbe, in mancanza di siffatta previsione normativa, 
  di un corrispondente compenso. Cassazione sez. lavoro del 16 luglio 2002, sentenza 
  n. 10309 
  
  Licenziamento a seguito di sentenza di condanna passata in giudicato - la c.d. 
  sentenza di "patteggiamento" ex art. 444 cpp. La contrattazione collettiva 
  renda possibile il licenziamento a seguito di sentenza di condanna passata in 
  giudicato, il giudice di merito, interpretando la pattuizione collettiva, può 
  ben assimilare alla "sentenza di condanna" la c.d. sentenza di "patteggiamento" 
  ex art. 444 cpp, atteso che in tal caso l’imputato non nega la propria 
  responsabilità, ma esonera l’accusa dall’onere della relativa 
  prova in cambio di una riduzione della pena. Cassazione sez. Lavoro del 16 luglio 
  2002, sentenza n. 10318
  
  La durata massima della prestazione ordinaria lavorativa. L’unico reale 
  limite alla durata massima della prestazione ordinaria lavorativa è quello 
  settimanale e che la previsione giornaliera delle otto ore ha soltanto valore 
  di indicazione media. Cassazione sez. Lavoro del 16 luglio 2002, sentenza n. 
  10312
  
  Quietanze a saldo o liberatorie - accettazione del licenziamento - rinuncia 
  all’impugnazione. Le quietanze a saldo o liberatorie che il lavoratore 
  sottoscriva a seguito della risoluzione del rapporto di lavoro, accettando senza 
  riserve la liquidazione e le altre somme dovutegli, non implicano di per sé 
  l’accettazione del licenziamento e la rinuncia ad impugnarlo; tuttavia, 
  predetti comportamenti possono assumere tale significato negoziale, in presenza 
  di altre circostanze precise, concordanti ed obiettivamente concludenti, che 
  dimostrino l’intenzione del lavoratore di accettare l’atto risolutivo, 
  in base ad un adeguato accertamento da parte del giudice di merito. Cassazione 
  del 12 luglio 2002, sentenza n. 10193 
  
  Amianto - tutela dei lavoratori dipendenti da rischio dell’amianto tutela 
  dei lavoratori dipendenti da rischio dell’amianto. La tutela dei lavoratori 
  dipendenti da rischio dell’amianto si estende anche alle lavorazioni che 
  si svolgano con modalità tali da comportare rischi di esposizione alle 
  polveri di amianto o di materiali contenenti amianto. Cassazione Penale sezione 
  III del 10 luglio 2002, sentenza n. 26273.
Assunzione al lavoro della donna - maternità e contratto a tempo determinato 
  - non vi è norma che imponga alla lavoratrice gestante di notiziare, 
  al momento della stipula del contratto, il datore di lavoro del proprio stato. 
  Non si rinviene alcuna norma che imponga alla lavoratrice gestante di notiziare, 
  al momento della stipula del contratto, il datore di lavoro del proprio stato. 
  Né un siffatto obbligo può ricavarsi, pur quando la lavoratrice 
  viene assunta con contratto a tempo determinato, dai canoni generali di correttezza 
  e buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c. o da altro generale principio 
  del nostro ordinamento, considerato che l’accoglimento di una diversa 
  opinione condurrebbe a ravvisare nello stato di gravidanza e puerperio di cui 
  agli articoli 16 e 17 del D. L.vo n. 151/2001 un ostacolo all’assunzione 
  al lavoro della donna e finirebbe, così, per legittimare operazioni ermeneutiche 
  destinate a minare in maniera rilevante la tutela apprestata a favore delle 
  lavoratrici madri. Cassazione civile sez. lavoro del 6 luglio 2002, sentenza 
  n. 9864
  
  Attività antisindacale - mansioni dei lavoratori in sciopero - legittimità. 
  Non costituisce attività antisindacale il comportamento di un datore 
  di lavoro che in caso di sciopero, disponga l’adibizione del personale 
  rimasto in servizio alle mansioni dei lavoratori in sciopero, anche se ciò 
  avvenga mediante l’assegnazione a mansioni inferiori. Cassazione sez. 
  Lavoro del 4 luglio 2002, sentenza n. 9709
  
  La reintegrazione delle energie psico-fisiche - il risarcimento del danno non 
  è assoggettabile a tributo. L’indennità corrisposta in sede 
  transattivi dal datore di lavoro, a titolo del risarcimento del danno, per la 
  reintegrazione delle energie psico-fisiche spese dal lavoratore oltre l’orario 
  massimo di lavoro da lui esigibile, non è assoggettabile a tributo. Le 
  somme percepite a titolo risarcitorio costituiscono reddito imponibile solo 
  e nei limiti in cui abbiano la funzione di reintegrare un danno concretatosi 
  nella mancata percezione dei redditi, in base all’art. 6, comma 2, del 
  DPR n. 917/1986. Cassazione sez. Lavoro del 21 giugno 2002, sentenza n. 9111
Omissioni contributive e soggetti penalmente responsabili - retribuzioni dei 
  dipendenti - presidente del consiglio di amministrazione di una società 
  - l’adempimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali - imprese 
  che versino in difficoltà economiche. Nel caso in cui non vengano versate 
  all’INPS le ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti, 
  il presidente del consiglio di amministrazione di una società ne risponde 
  penalmente in quanto è tenuto ad accertare l’adempimento degli 
  obblighi previdenziali ed assistenziali che sono da considerare primari anche 
  nelle imprese che versino in difficoltà economiche. Cassazione penale 
  sezione III del 20 giugno 2002, sentenza n. 23655
  
  L’erogazione dell’indennità di mobilità. L’erogazione 
  dell’indennità di mobilità è consentita anche per 
  intraprendere attività di natura imprenditoriale, senza sottoposizione 
  a limiti né a condizioni non previste dall’art. 7, comma 5, della 
  legge n. 223/1991. Cassazione sez. Lavoro del 20 giugno 2002, sentenza n. 9007
  
  Contratto di formazione e lavoro - mutamento delle mansioni contrattuali - prosecuzione 
  del rapporto di lavoro con mansioni diverse - acquisizione di nuove professionalità. 
  Può ritenersi validamente concluso un contratto di formazione e lavoro, 
  anche durante lo svolgimento di un rapporto di lavoro a tempo determinato, ove 
  le finalità formative traggano origine dal comune interesse delle parti 
  ad un mutamento delle mansioni contrattuali o di quelle precedentemente svolte 
  e, quindi, alla prosecuzione del rapporto di lavoro con mansioni diverse, in 
  quanto in tali situazioni il contratto di formazione e lavoro può assolvere 
  pienamente alla sua ragione causale, quale mezzo idoneo a promuovere l’acquisizione 
  di nuove professionalità (nell’interesse del lavoratore), oltre 
  che l’esatto adempimento delle diverse mansioni (nell’interesse 
  del datore di lavoro). Cassazione civile sez. lavoro del 6 giugno 2002, sentenza 
  n. 8250 
  
  Le controversie promosse da ex dipendenti in quiescenza nei confronti di enti 
  pubblici eroganti un trattamento integrativo in aggiunta alla pensione - la 
  riliquidazione del trattamento integrativo sorto in un periodo antecedente al 
  30 giugno 1998 - giurisdizione del giudice amministrativo. Le controversie promosse 
  da ex dipendenti in quiescenza nei confronti di enti pubblici eroganti un trattamento 
  integrativo in aggiunta alla pensione ( come avviene, ad esempio, per i dipendenti 
  dell'INPS e dell'INAIL ), che abbiano per oggetto la riliquidazione di tale 
  trattamento integrativo con l'inclusione nello stesso di competenze retributive 
  non conteggiate, sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, 
  se sorte in un periodo antecedente al 30 giugno 1998, essendo le stesse relative 
  a prestazioni che, in quanto corrisposte da un fondo costituito dal medesimo 
  ente pubblico datore di lavoro per mezzo dell'accantonamento di una parte della 
  retribuzione ed alimentato anche da contributi dei dipendenti, ineriscono strettamente 
  al pregresso rapporto di pubblico impiego, con la conseguenza che non sussiste 
  la giurisdizione della Corte dei conti, non essendo in discussione un rapporto 
  previdenziale diverso da quello di lavoro. Corte di Cassazione Sezioni unite 
  civili, 3 giugno 2002 n. 7981.
  
  La concessione della c.d. “mobilità lunga” - contributi versati. 
  Per la concessione della c.d. “mobilità lunga”, prevista 
  dall’art. 7, comma 7, della legge n. 223/1991, la locuzione “possano 
  far valere” deve essere intesa nel senso che, al momento della cessazione 
  del rapporto, il lavoratore deve trovarsi nelle condizioni di diritto che gli 
  consentano di poter ottenere che i contributi versati sino a quel momento in 
  gestioni speciali gli siano computati nell’assicurazione generale obbligatoria 
  Ivs alfine del raggiungimento dell’anzianità contributiva di 28 
  anni. Cassazione Sezione Lavoro del 18 giugno 2002, sentenza n. 8840
  
  Datore di lavoro è tenuto a vigilare ed a supplire al comportamento negligente. 
  Anche in caso di delega il datore di lavoro è tenuto a vigilare ed a 
  supplire al comportamento negligente, a maggior ragione nel caso in cui l'omissione 
  sia pluriennale e relativa a somme rilevanti. Cassazione Penale sezione III 
  del 31 maggio 2002, sentenza n. 21414
Lavoro a domicilio - il vincolo della subordinazione - nozione. Con il lavoro 
  a domicilio si realizza una forma di decentramento produttivo caratterizzato 
  dal fatto che l’oggetto della prestazione non viene in rilievo come risultato, 
  ma come energie lavorative utilizzate in funzione complementare e sostitutiva 
  del lavoro eseguito all’interno dell’azienda. Il vincolo della subordinazione 
  è qualificato non tanto dall’elemento della collaborazione, intesa 
  come svolgimento di attività per il conseguimento dei fini dell’impresa, 
  quanto da quello tipico dell’inserimento dell’attività lavorativa 
  nel ciclo produttivo dell’azienda, di cui il lavoratore a domicilio diventa 
  elemento ancorchè esterno. Cassazione civile sez. lavoro del 22 maggio 
  2002, sentenza n. 7328
  
  Infortuni sul lavoro - responsabilità del datore di lavoro - sussiste 
  anche quando l’infortunio sia derivato da imperizia, negligenza od imprudenza 
  del lavoratore - pericolosità della macchina operatrice - l'obbligo di 
  predisporre adeguata protezione - esonerato da responsabilità dell'imprenditore. 
  La responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio occorso ad un 
  proprio dipendente addetto ad una macchina pericolosa non è esclusa per 
  l'avvenuta osservanza delle specifiche prescrizioni contenute in una norma o 
  disciplina antinfortunistica, allorquando l'infortunio stesso sia derivato non 
  già dal verificarsi del pericolo previsto dalla norma medesima e contro 
  il quale erano dirette le prescrizioni tecniche in essa contenute, ma per effetto 
  della intrinseca pericolosità della macchina operatrice, per la quale 
  sorge l'obbligo di predisporre adeguata protezione, ovvero della applicazione 
  di più specifiche ed idonee misure di sicurezza. Le norme dettate in 
  tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza 
  di situazioni pericolose sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli 
  incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili 
  ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso: ne consegue che il datore 
  di lavoro e' sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia 
  quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti 
  e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, 
  non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l'imprenditore che abbia 
  provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni 
  l'eventuale concorso di colpa del lavoratore; con l'ulteriore conseguenza che 
  l'imprenditore e' esonerato da responsabilità solo quando il comportamento 
  del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità 
  e esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, 
  come pure dell'atipicità ed eccezionalità, così da porsi 
  come causa esclusiva dell'evento. Corte di Cassazione, del 21.05.2002 sent. 
  n.7454
  
  Contratto a termine - collocazione speciale. Anche dopo la riforma ex D. L.vo 
  n. 368/2001 il contratto a termine mantiene una collocazione speciale rispetto 
  alla tipologia tradizionale dell’obbligazione di lavoro. Cassazione civile 
  sez. lavoro del 21 maggio 2002, sentenza n. 7468
  
  Socio amministratore di società e qualifica di lavoratore subordinato. 
  E’ compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato, anche a livello 
  dirigenziale, la qualifica di socio ed amministratore di una società 
  di capitali composta da due soli soci, entrambi amministratori, ove il vincolo 
  della subordinazione risulti da un concreto assoggettamento del socio dirigente 
  alle direttive ed al controllo dell’organo collegiale amministrativo formato 
  dai medesimi due soci. Cassazione civile sez. lavoro del 21 maggio 2002 sentenza 
  n. 7465 
  
  La proporzionalità tra il comportamento illecito del lavoratore e la 
  sanzione irrogata sul piano disciplinare - giudice di merito. In ordine al problema 
  della valutazione della proporzionalità tra il comportamento illecito 
  del lavoratore e la sanzione irrogata sul piano disciplinare osservando che 
  l’apprezzamento del fatto deve essere effettuato facendo riferimento al 
  caso concreto, inquadrando l’addebito nelle specifiche modalità 
  del rapporto e valutando sia la natura del fatto contestato che il contenuto 
  obiettivo ed intenzionale. Il giudizio, ricorda la Corte, è riservato 
  al giudice di merito e, se sorretto da adeguata e logica motivazione, è 
  incensurabile in sede di legittimità. Cassazione sez. Lavoro del 21 maggio 
  2002, sentenza n. 7462
  
  Trasferimento d’azienda e licenziamento - l’organizzazione dei beni 
  aziendali. L’art. 2112 c.c., il quale regola la sorte dei rapporti di 
  lavoro in caso di trasferimento d’azienda, trova applicazione -ove rimanga 
  immutata l’organizzazione dei beni aziendali, con lo svolgimento della 
  medesima attività- in tutte le ipotesi in cui il cedente sostituisca 
  a se il cessionario senza soluzione di continuità, anche nel caso di 
  restituzione dell’azienda da parte del cessionario per cessazione del 
  rapporto di affitto. Cassazione del 21 maggio 2002, sentenza n. 7458
  
  Successione di contratti collettivi aziendali - non iscritti al sindacato. In 
  caso di successione di contratti collettivi aziendali tutti i lavoratori che 
  abbiano fatto adesione all’originario accordo, sebbene non iscritti al 
  sindacato, sono vincolati dall’accordo successivo e non possono invocare 
  soltanto l’applicazione del primo. Cassazione sez. Lavoro del 20 maggio 
  2002, sentenza n. 7318
Il rapporto di lavoro subordinato sostituito da uno di lavoro autonomo - la mutazione del “nomen iuris” - vincolo di assoggettamento - la valutazione del giudice di merito . obbligo di motivazione. A seguito di uno specifico negozio novativo, un rapporto di lavoro subordinato può essere sostituito da uno di lavoro autonomo ma a tal fine è necessario che all’univoca volontà delle parti di mutare il regime giuridico (ed il “nomen iuris”) del rapporto si accompagni un effettivo mutamento dello svolgimento delle prestazioni lavorative come conseguenza del venir meno del vincolo di assoggettamento del lavoratore al datore di lavoro, sebbene rimanga identico il contenuto della prestazione stessa. La valutazione (positiva o negativa) del giudice di merito – la cui reale prosecuzione come rapporto di lavoro subordinato anche dopo la sua convenzionale qualificazione come rapporto di lavoro autonomo deve essere dimostrata dal lavoratore stesso - è incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata. Cassazione civile sez. lavoro del 20 maggio 2002 sentenza n. 7310
La formazione dei c.d. "usi aziendali". Per la formazione dei c.d. 
  "usi aziendali" occorre un ripetuto comportamento del datore di lavoro 
  che si inserisce direttamente ed automaticamente nel contratto individuale (comunque, 
  in senso migliorativo, rispetto al CCNL). Cassazione civile sez. lavoro del 
  17 maggio 2002, sentenza n. 7200
  
  Lavoro subordinato - categorie e qualifiche dei prestatori di lavoro - mansioni 
  - diverse da quelle dell'assunzione - diritto del lavoratore di eseguire la 
  prestazione lavorativa in conformità della qualifica - danno derivante 
  da dequalificazione - dimostrazione della sua esistenza - onere del lavoratore 
  - sussistenza - potenzialità lesiva del comportamento datoriale - insufficienza. 
  Il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento 
  del danno (di qualsiasi specie), subito a causa della lesione del proprio diritto 
  di eseguire la prestazione corrispondente alla qualifica spettante, deve fornire 
  la prova dell'esistenza del danno stesso, quale presupposto della eventuale 
  valutazione equitativa, alla stregua del generale criterio dettato dall'art. 
  2697 cod. civ., non essendo sufficiente la mera potenzialità lesiva del 
  comportamento illecito del datore di lavoro. Corte Cassazione, Sez. L, del 14.5.2002, 
  Sentenza. n. 6992
  
  La differenza tra licenziamento per giusta causa e licenziamento per giustificato 
  motivo - licenziamento disciplinare. La differenza tra licenziamento per giusta 
  causa e licenziamento per giustificato motivo soggettivo riguarda la gravità 
  dell’inadempimento del lavoratore e non la diversa consistenza temporale 
  del requisito dell’immediatezza che è rinvenibile in entrambe le 
  ipotesi di licenziamento disciplinare. Cassazione sez. Lavoro del 13 maggio 
  2002, sentenza n. 6899
Transazione innanzi alla commissione provinciale di conciliazione, o in sede 
  sindacale, o in sede giudiziale e contributi assicurativi - concetto di retribuzione 
  imponibile ai fini contributivi - le somme corrisposte in occasione della cessazione 
  del rapporto di lavoro alfine di incentivare l’esodo dei lavoratori. Sul 
  problema relativo alla assoggettabilità a contribuzioni obbligatorie 
  delle erogazioni economiche del datore di lavoro previste in occasione di transazioni, 
  la Corte ha osservato che il principio secondo cui le erogazioni dipendenti 
  da transazioni aventi la finalità non di eliminare la “res dubia” 
  oggetto della lite, ma di evitare il rischio della lite stessa e non contenenti 
  un riconoscimento neppure parziale del diritto del lavoratore, debbono considerarsi 
  in nesso non di dipendenza ma di occasionalità con il rapporto di lavoro 
  e quindi non assoggettabili a contribuzione, va coordinato con il concetto, 
  desumibile dall’art. 12 della legge n. 153/1969, secondo cui l’indagine 
  del giudice di merito sulla natura retributiva o meno delle somme erogate al 
  lavoratore non trova alcun limite nel titolo formale di tali erogazioni. Parimenti, 
  esso va altresì coordinato con il principio che, nell’ampio concetto 
  di retribuzione imponibile ai fini contributivi, rientra tutto ciò che 
  in denaro, o in natura, il lavoratore riceve dal datore di lavoro in dipendenza 
  o a causa del rapporto di lavoro, sicchè per escludere la computabilità 
  di un istituto non è sufficiente la mancanza di uno stretto nesso di 
  corrispettività, ma occorre che risulti un titolo autonomo, diverso e 
  distinto dal rapporto di lavoro, che ne giustifichi la corresponsione. Allorquando 
  un accordo transattivo sia stato preceduto dalla manifestazione di volontà 
  del datore di lavoro di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro con 
  un proprio dipendente e dalla richiesta, da parte di quest’ultimo, di 
  una somma di denaro, quale condizione per addivenire alla risoluzione consensuale 
  del rapporto, alla corresponsione di una somma in denaro, erogata in esecuzione 
  di quell’accordo, deve essere riconosciuta natura retributiva, con conseguente 
  assoggettamento della somma stessa a contribuzione previdenziale, In tale situazione, 
  non può trovare applicazione l’art. 4, comma 2 bis, della legge 
  n. 291/1998 che esclude dalla retribuzione imponibile le somme corrisposte in 
  occasione della cessazione del rapporto di lavoro alfine di incentivare l’esodo 
  dei lavoratori. Ciò che difetta nel caso di specie è il presupposto, 
  in quanto non sono stati interessati all’esodo una pluralità di 
  lavoratori il cui posto di lavoro non è esposto al rischio della precarietà 
  e che proprio per questa ragione devono essere incentivati a dimettersi attraverso 
  la corresponsione di una gratifica. Cassazione sez. lavoro del 9 maggio 2002, 
  sentenza n. 6663
  
  Collaborazioni coordinate e continuative - presupposti - la devoluzione della 
  controversia al tribunale. Gli elementi che debbono ricorrere perché 
  si possa invocare l’art. 409, n. 3, cpc per la devoluzione della controversia 
  al tribunale, inteso quale giudice del lavoro. Essi sono: a) continuità, 
  che ricorre quando la prestazione non sia occasionale ma perduri nel tempo ed 
  importi un impegno costante del prestatore a favore del committente; b) coordinazione, 
  intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell’organizzazione 
  aziendale; c) personalità, che si ha in caso di prevalenza del lavoro 
  personale del preposto sull’opera svolta dai collaboratori e sull’utilizzazione 
  di una struttura di natura materiale. Non è necessario che la prestazione 
  consti di un’attività diversa da quella abitualmente esercitata 
  dal prestatore, né che tale prestazione sia resa con totale esclusione 
  di mezzi organizzati o personale subordinato, essendo peraltro irrilevante che 
  il suddetto prestatore agisca in regime di autonomia o di subordinazione. Cassazione 
  sez. lavoro del 19 aprile 2002, sentenza n. 5698
  
  Lavoro a domicilio - definizione - il vincolo della subordinazione. Con il lavoro 
  a domicilio si realizza una forma di decentramento produttivo: l’oggetto 
  della prestazione viene in rilievo non come risultato, ma come energie lavorative 
  utilizzate in maniera complementare e sostitutiva rispetto all’attività 
  eseguita all’interno dell’azienda. Il vincolo della subordinazione 
  richiamato dalla legge n. 877/1973 è quello tipico dell’inserimento 
  dell’attività lavorativa nel ciclo produttivo dell’azienda, 
  di cui il lavoratore a domicilio diventa elemento ancorchè esterno. Cassazione 
  sez. lavoro del 22 aprile 2002, sentenza n. 5840
  
  Obbligo assicurativo contro gli infortuni sul lavoro - soci di cooperative e 
  di altre società. Sono assoggettabili all’obbligo assicurativo 
  contro gli infortuni sul lavoro sia dei soci delle cooperative, che dei soci 
  di ogni altro tipo di società quando prestano attività lavorativa 
  per lo scopo della società , in tutte quelle ipotesi in cui gli stessi 
  svolgono attività lavorativa di tipo manuale, in modo permanente o avventizio, 
  o attività non manuale (cioè intellettuale) di sovraintendenza 
  al lavoro altrui. Cassazione sez. lavoro del 15 aprile 2002, sentenza n. 5382
  
  Conseguenze dell’inadempimento degli obblighi formativi non sanabile in 
  tempo utile - la trasformazione del contratto - addestramento teorico. Il rilevante 
  inadempimento degli obblighi formativi non sanabile in tempo utile, comporta 
  la trasformazione dall’inizio di un contratto di formazione e lavoro in 
  uno a tempo indeterminato senza vincoli formativi. Ciò discende dal fatto 
  che la formazione, per esplicito riferimento normativo, costituisce una vera 
  e propria obbligazione del datore di lavoro. Nel caso di specie la Corte aveva 
  esaminato un ricorso di un giovane che, assunto con contratto di formazione 
  e lavoro da un istituto di credito siciliano, aveva visto il proprio rapporto 
  trasformato dopo i due anni di durata e chiedeva il riconoscimento "ab 
  initio" del contratto di lavoro subordinato, con i conseguenti vantaggi 
  economici. L’addestramento teorico era iniziato dopo circa diciotto mesi, 
  mentre per quel che riguardava l’addestramento pratico il giovane non 
  aveva ricevuto alcun insegnamento particolare né era stato affiancato 
  a lavoratori già qualificati ed aveva ricevuto soltanto le normali istruzioni 
  che la banca impartisce a tutti i neo assunti (a prescindere dal tipo di contratto 
  stipulato). Cassazione civile sez. lavoro del 13 aprile 2002, sentenza n. 5363
Somme erogate da fondi aziendali - retribuzione imponibile - funzione previdenziale - versamento dei contributi obbligatori. Le somme erogate da fondi aziendali hanno natura retributiva e funzione previdenziale e vanno pertanto incluse nella retribuzione imponibile ai fini del versamento dei contributi obbligatori, dal momento che non rientrano in alcuna delle eccezioni previste dall’art. 12 della legge n. 153/1969. Cassazione sez. lavoro dell’11 aprile 2002, sentenza n. 5202
Licenziamento, per superamento del periodo di comporto e matrimonio intimato 
  entro l’anno - limiti tassativi indicate dalla legge. Il licenziamento 
  periodo di comporto intimato entro l’anno dalla celebrazione del matrimonio 
  è attuato per causa di matrimonio vigendo la presunzione legale, che 
  non può essere superata se non al verificarsi delle ipotesi tassativamente 
  indicate dalla legge. Cassazione sez. lavoro del 9 aprile 2002, sentenza n. 
  5065
  
  La delega dei compiti antinfortunistici - esonero della responsabilità 
  del datore di lavoro - condizioni. La delega dei compiti antinfortunistici esonera 
  da responsabilità il datore di lavoro, a condizione che sia inequivoca, 
  specifica e sia accettata dal delegato. Ovviamente, quest'ultimo deve essere 
  fornito di adeguati mezzi di spesa. La Corte ha, altresì, stabilito che 
  la prova di tali condizioni spetta al datore di lavoro. Cassazione penale, Sezione 
  IV del 4 aprile 2002, sentenza n. 12771
  
  Trattamento di fine rapporto - termine di pagamento. L'art. 2120 c.c. non lascia 
  dubbio sulla circostanza che l'obbligazione trova fonte nella cessazione del 
  rapporto che ne rappresenta, quindi, il momento genetico a partire dal quale 
  deve essere adempiuta. Quand'anche non si consideri tale articolo come produttivo 
  dell'obbligo immediato, c'è sempre l'art. 1183, comma 1, c.c., che consente 
  al creditore di esigere immediatamente il pagamento del TFR: ovviamente, da 
  tale momento decorrono gli interessi. Nessun accordo collettivo, tendente a 
  dilazionare il termine di pagamento, può modificare il precetto dell'art. 
  2120 c.c. Cassazione del 4 aprile 2002, sentenza n. 4822 
  
  L’abuso del telefono aziendale - legittimità del controllo dei 
  dati telefonici - c.d. controlli difensivi - giustificato motivo soggettivo 
  di licenziamento indipendentemente dall’entità del danno. Il controllo 
  dei dati telefonici non rientra nel concetto di divieto di utilizzazione di 
  apparecchiature per il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori 
  ex art. 4 della legge n. 300/1970. Si tratta, infatti, di controllo atti ad 
  accertare condotte illecite del lavoratore (c.d. controlli difensivi). L’abuso 
  del telefono aziendale, conclude la Corte, può costituire giustificato 
  motivo soggettivo di licenziamento indipendentemente dall’entità 
  del danno creato dal lavoratore. Cassazione sez. Lavoro del 3 aprile 2002, sentenza 
  n. 4746
Gli elementi distintivi del rapporto di lavoro subordinato. Il cardine degli 
  elementi distintivi del rapporto di lavoro subordinato è rappresentato 
  dall’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare 
  del datore, peraltro configurabile con intensità ed aspetti diversi in 
  relazione alla maggiore o minore elevatezza delle mansioni e alla natura delle 
  stesse. Gli altri elementi quali l’assenza di rischio, la continuità 
  della prestazione, l’osservanza di un orario e la forma della retribuzione 
  assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva. Cassazione civile sez. 
  lavoro del 2 aprile 2002 sentenza n. 4682
  
  Trattamento di fine rapporto - termine di pagamento - interessi e rivalutazione. 
  Il pagamento del TFR alla data di cessazione del rapporto è condizionato 
  dal fatto che il datore sia a conoscenza di tutti gli elementi di calcolo. Da 
  ciò ne consegue che il TFR produce interessi e rivalutazione su tutto 
  ciò che può essere determinato ed esigibile. In caso contrario, 
  produce gli accessori dal giorno in cui il credito può esser liquidato 
  nel suo ammontare integrale, anche se ciò si realizza, per la successiva 
  acquisita conoscenza di tutti gli elementi di calcolo, dopo la cessazione del 
  rapporto. Conseguentemente, osserva la Corte, che il termine inderogabile per 
  il pagamento del TFR è il momento in cui può esser liquidato nel 
  suo ammontare integrale e, quindi, il momento della cessazione del rapporto 
  di lavoro se in tale momento il TFR è determinabile. Cassazione del 25 
  marzo 2002, sentenza n. 4222 
Contestazione dell’addebito - le giustificazioni - condotta tenuta dal 
  lavoratore. Nell’ambito del procedimento di contestazione ex art. 7 della 
  legge n. 300/1970, ove il lavoratore abbia presentato nel prescritto termine 
  di cinque giorni dalla contestazione dell’addebito le proprie giustificazioni 
  ed abbia contestualmente richiesto di essere sentito anche oralmente, il datore 
  di lavoro è obbligato a dar seguito a tale richiesta soltanto quando 
  la stessa risponda ad obiettive esigenze di difesa non altrimenti tutelabili 
  e non quando, invece, la richiesta appaia dettata da fini meramente dilatori 
  o sia stata avanzata in modo equivoco, generico o immotivato ovvero emerga, 
  anche in base alla condotta tenuta dal lavoratore, che la sua difesa sia stata 
  già esercitata esaustivamente attraverso giustificazioni scritte non 
  suscettibili, per la loro compiutezza, di essere completate o solo convalidate 
  da nuove e significative circostanze. Cassazione sez. Lavoro del 23 marzo 2002, 
  sentenza n. 4187
  
  Protezione dei disabili - periodo di prova - controllo giudiziario sul corretto 
  esercizio del potere di recesso da parte del datore di lavoro. Il sistema legislativo 
  di protezione dei disabili, pur consentendo il controllo giudiziario sul corretto 
  esercizio del potere di recesso da parte del datore di lavoro, non richiede 
  che l’indicazione dei motivi del licenziamento sia contestuale alla manifestazione 
  della volontà di recesso dal rapporto durante il periodo di prova, sicchè 
  l’assenza di un motivo contestuale all’atto della risoluzione non 
  può, di per sé, incidere sulla validità e l’efficacia 
  del medesimo. Cassazione sez. lavoro del 18 marzo 2002, sentenza n. 3920
  
  L’assoluta incapacità del sistema del collocamento pubblico a soddisfare 
  la domanda esistente sul mercato del lavoro - disapplicazione della normativa 
  nazionale. Nel caso in cui il giudice di merito accerti l’assoluta incapacità 
  del sistema del collocamento pubblico a soddisfare la domanda esistente sul 
  mercato del lavoro, è tenuto a disapplicare la normativa nazionale (Nel 
  caso di specie si trattava di una sanzione amministrativa irrogata dalla Direzione 
  provinciale del Lavoro di Udine per l’assunzione di lavoratori avvenuta 
  non per il tramite dell’Ufficio di collocamento). Cassazione sez. Lavoro 
  del 15 marzo 2002, sentenza n. 3841
  
  Trasferimento d’azienda - nozione - collegamento economico-finanziario 
  fra le imprese - volontà dei contraenti - complesso dei beni ceduti. 
  Per la configurabilità del trasferimento di azienda, così come 
  previsto dall’art. 2112 c.c., occorre verificare, oltre all’eventuale 
  collegamento economico-finanziario fra le imprese e la continuità delle 
  prestazioni lavorative dei lavoratori nelle due aziende interessate, anche la 
  volontà dei contraenti. Va accertato, inoltre, se il complesso dei beni 
  ceduti siano stati considerati autonomamente o nella loro funzione unitaria 
  e strumentale. Cassazione dell’11 marzo 2002, sentenza n. 3469 
  
  Società in nome collettivo la rappresentanza spetta a ciascun socio a 
  meno di eventuali limitazioni rinvenibili nell'atto costitutivo od in una procura 
  - responsabilità di ciascun socio verso l'esterno e nei confronti dell'INPS. 
  Nelle società in nome collettivo la rappresentanza spetta a ciascun socio 
  a meno di eventuali limitazioni rinvenibili nell'atto costitutivo od in una 
  procura. Da ciò ne consegue la responsabilità di ognuno verso 
  l'esterno e nei confronti dell'INPS per l'omesso versamento dei contributi previdenziali. 
  Cassazione Penale sezione III del 7 marzo 2002, sentenza n. 8775
Lavoro subordinato non eseguito con continuità quotidiana - sicurezza 
  sul lavoro. In materia di sicurezza sul lavoro si può parlare di lavoratore 
  subordinato anche in quelle ipotesi in cui il lavoro non sia eseguito con continuità 
  quotidiana ma avvenga nelle esecuzioni di ordini impartiti dal datore di lavoro, 
  senza alcuna autonomia discrezionale. Cassazione Penale Sezione IV del 27 febbraio 
  2002, sentenza n. 7726 
  
  Società cooperativa a responsabilità - qualificazione del rapporto 
  dell’amministratore - prestazioni professionali. autonome limitata In 
  tema di società cooperativa a responsabilità limitata, il rapporto 
  che lega l’amministratore, cui è affidata la gestione sociale, 
  alla società è un rapporto di immedesimazione organica, che non 
  può essere qualificato né come rapporto di lavoro subordinato, 
  né come rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, orientandosi 
  le prestazioni piuttosto nell’area delle prestazioni professionali autonome. 
  E’, pertanto, legittima la previsione statutaria della gratuità. 
  Cassazione civile sez. lavoro del 26 febbraio 2002, sentenza n. 2861 
  
  Distinzione tra rapporto di lavoro subordinato e rapporti di lavoro autonomo 
  - l'accertamento dell'obbligo contrattuale - il perseguimento dei fini propri 
  del datore di lavoro. Ai fini della distinzione, tra rapporto di lavoro subordinato 
  e rapporti di lavoro autonomo, assume valore determinante l'accertamento dell'obbligo 
  contrattuale di porre a disposizione del datore le proprie energie lavorative 
  e di impiegarle con continuità, fedeltà e diligenza, secondo le 
  direttive di ordine generale impartite dall'imprenditore e in funzione dei programmi 
  cui è destinata la produzione, per il perseguimento dei fini propri del 
  datore di lavoro. Cassazione sez. lavoro del 26 febbraio 2002, sentenza n. 2842
  
  L’irrogazione della sanzione disciplinare (ivi compreso il licenziamento) 
  - il termine di cinque giorni dalla contestazione dell’addebito. Il termine 
  di cinque giorni dalla contestazione dell’addebito, previsto dall’art. 
  7, comma 5, della legge n. 300/1970 per l’irrogazione della sanzione disciplinare 
  (ivi compreso il licenziamento) persegue un triplice obiettivo: 
  a) consente al lavoratore di presentare le proprie giustificazioni; 
  b) consente al datore di lavoro di adottare la sanzione dopo aver conosciuto 
  le difese dell’incolpato; 
  c) consente al datore di lavoro di fruire di un tempo, anche se molto breve, 
  di ripensamento e di raffreddamento, tale da fargli adottare i provvedimenti 
  più gravi con la necessaria ponderazione. 
  Da ciò ne consegue, secondo la Corte, che il datore di lavoro non può 
  irrogare il provvedimento, prima della decorrenza di tale termine. C’è 
  da sottolineare, tuttavia, come tale orientamento non sembri in linea con quello 
  espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 3965 del 26 
  aprile 1994. Con tale decisione si affermava che, nel caso in cui il lavoratore 
  avesse fornito le proprie giustificazioni prima della scadenza, senza manifestare 
  alcuna intenzione di produrne di ulteriori, il datore di lavoro poteva procedere 
  alla irrogazione della sanzione senza attendere il decorso della residua parte 
  del termine. Cassazione sez. Lavoro del 23 febbraio 2002, sentenza n. 2610
  
  Mobbing sessuale. Commette il delitto di violenza sessuale previsto dall’art. 
  609-bis c.p. il datore di lavoro che, in maniera subdola, tocca, seppur fugacemente, 
  la coscia di una dipendente, trattandosi di parte “del corpo femminile 
  rientrante nella vasta gamma della c.d. appetibilità sessuale. Cassazione 
  Sezione Penale Sez. III del 14 febbraio 2002, sentenza n. 6010
Retribuzione - minaccia indiretta finalizzata alla corresponsione di un salario inferiore al CCNL - reato di estorsione - ingiusto profitto. La sussistenza di un accordo individuale tra datore e dipendente finalizzato a corrispondere una retribuzione inferiore al CCNL non è di per sé sufficiente ad escludere il reato di estorsione: il giudice di merito deve accertare se la condotta dell’indagato sia stata posta in essere nella sola prospettiva di conseguire un ingiusto profitto con altrui danno attraverso un comportamento che, al di là dell’aspetto contrattuale, ponesse concretamente la vittima in uno stato di soggezione. Cassazione Penale dell’11 febbraio 2002, sentenza n. 5166
Contratto di associazione in partecipazione - rapporto sinallagmatico - elemento 
  costitutivo essenziale - utili d’impresa. Nel contratto di associazione 
  in partecipazione il quale mira, nel quadro di un rapporto sinallagmatico con 
  elementi di aleatorietà, al perseguimento di finalità in parte 
  analoghe a quelle dei contratti societari, è elemento costitutivo essenziale, 
  come si evince chiaramente dall’art. 2549 c.c., la pattuizione a favore 
  dell’associato di una prestazione correlata agli utili d’impresa 
  e non ai ricavi, i quali ultimi rappresentano in se stessi un dato non significativo 
  circa il risultato economico effettivo dell’attività dell’impresa. 
  Cassazione sez. lavoro del 4 febbraio 2002, sentenza n. 1420
  
  Indennità sostitutiva per ferie non godute: assoggettabilità all’IRPEF. 
  La Cassazione ha ritenuto la piena assoggettabilità all’IRPEF della 
  indennità corrisposta al lavoratore in sostituzione delle ferie non godute. 
  Le motivazioni risiedono nelle seguenti considerazioni: a)assenza di perdita 
  patrimoniale e, quindi, impossibilità di attribuire a tele compenso natura 
  risarcitoria; b)natura e funzione di compenso in denaro percepito in dipendenza 
  del rapporto di lavoro. Cassazione Sezione Lavoro del 2 febbraio 2002, sentenza 
  n. 1713
Processo del lavoro - mancata contestazione dei conteggi - conseguenza l'integrale 
  accoglimento della domanda. Nelle cause di lavoro la mancata contestazione dei 
  conteggi da parte del datore di lavoro convenuto comporta l'integrale accoglimento 
  della domanda solo per i fatti posti a base dei calcoli. Cassazione Sezioni 
  Unite del 23 gennaio 2002, sentenza n. 761
  
  Nullità assoluta della clausola di un bando di concorso di un Ente pubblico 
  il quale subordini l’assunzione dei vincitori alla inesistenza di vincoli 
  di parentela con propri dipendenti. E’ affetta da nullità assoluta 
  la clausola di un bando di concorso di un Ente pubblico il quale subordini l’assunzione 
  dei vincitori alla inesistenza di vincoli di parentela con propri dipendenti. 
  La motivazione addotta è che tale "status" è estraneo 
  alla professionalità dei lavoratori. Cassazione civile sez. lavoro del 
  19 gennaio 2002, sentenza n. 570 
Nell'esecuzione, di uno scavo, o manualmente o con mezzo meccanico, il datore 
  di lavoro, nel caso si accerti che il terreno non dia sufficienti garanzie di 
  stabilità, deve provvedere, o dare ordini delle necessarie armature di 
  sostegno - il pericolo l'incolumità dei lavoratori - inosservanza di 
  precise disposizioni antinfortunistiche. Mentre l'art. 12, del d.p.r. n. 164/1956 
  interessandosi dello splateamento e dello sbancamento, distingue a seconda che 
  i lavori vengano eseguiti manualmente o con escavatori meccanici, l'art. 13 
  non distingue e non v'è una sola proposizione nello stesso dalla quale 
  possa desumersi che la misura antinfortunistica ivi prevista vada rispettata 
  soltanto quando si proceda allo scavo manualmente e non quando vi si proceda 
  avvalendosi di escavatori meccanici. E la ragione di questa indifferenza del 
  legislatore rispetto alle modalità di esecuzione dello scavo sta, indubbiamente, 
  nel fatto che, pur quando lo scavo si effettui con l'ausilio di un escavatore, 
  è tutt'altro che remota la possibilità che un lavoratore, per 
  una qualsiasi ragione, debba scendere o scenda, magari disobbedendo agli ordini 
  ricevuti, nella trincea, correndo il rischio, nel caso di insufficiente consistenza 
  del terreno, di essere travolto. Nell'esecuzione, dunque, di uno scavo, o manualmente 
  o con mezzo meccanico, il datore di lavoro, nel caso si accerti che il terreno 
  non dia sufficienti garanzie di stabilità, deve provvedere, o dare ordini 
  delle necessarie armature di sostegno non appena sia stata raggiunta, scavando, 
  la profondità di oltre m. 1.50 e ciò al fine di prevenire pericoli 
  per l'incolumità del lavoratore o dei lavoratori che, per una qualsiasi 
  ragione, scendano nella trincea. Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 
  del 16 gennaio 2002 n. 1588
  
  Rischi conseguenti ad eventuali imprudenze e disattenzioni dei lavoratori - 
  condotta del lavoratore - rilevanza - inosservanza di precise disposizioni antinfortunistiche 
  - la colpa dell'infortunato nella produzione dell'evento - esclusione, in tutto 
  o in parte, della responsabilità penale del datore di lavoro. La prevalente 
  giurisprudenza di questa Suprema Corte è, invero, nel senso che "le 
  norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione propria di evitare 
  che si verifichino eventi lesivi della incolumità, intrinsecamente connaturati 
  alla esecuzione di talune attività lavorative, anche nelle ipotesi in 
  cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali imprudenze e disattenzioni 
  dei lavoratori, la cui incolumità deve essere sempre protetta con appropriate 
  cautele". "Solo se il lavoratore ponga in essere una condotta inopinabile, 
  imprevedibile, esorbitante dal procedimento di lavoro ed incompatibile con il 
  sistema di lavorazione oppure si concreta nella inosservanza, da parte sua, 
  di precise disposizioni antinfortunistiche, solo in questa evenienza è 
  configurabile la colpa dell'infortunato nella produzione dell'evento, con esclusione, 
  in tutto o in parte, della responsabilità penale del datore di lavoro". 
  (Cass., 3 marzo 1980, Pedrotti; 104 dicembre 1984, D'Amico; 5 novembre 1986, 
  Amadori). Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza del 16 gennaio 2002 
  n. 1588
  
  Violazione di norme antinfortunistiche - la recidiva quale insuperabile ostacolo 
  ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche - il pericolo l'incolumità 
  dei lavoratori. Può essere anche vero che l'unico precedente in tema 
  di violazione di norme antinfortunistiche sia risalente nel tempo, anche se 
  all'imputato è stata contestata la recidiva infraquinquennale; ma, è 
  pur sempre un precedente che, proprio perché attinente alla violazione 
  delle norme che pongono in pericolo l'incolumità dei lavoratori, la Corte 
  di Appello ha correttamente sottolineato ritenendolo, con assoluta ragionevolezza, 
  parametro negativo e, quindi, di insuperabile ostacolo ai fini del riconoscimento 
  delle attenuanti generiche. Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 
  del 16 gennaio 2002 n. 1588
L'obbligo di provvedere all'applicazione di armature di sostegno delle pareti nello scavo di pozzi o di trincee profonde più di metri uno e cinquanta - responsabilità del datore di lavoro - sicurezza sul lavoro - la misura antinfortunistica. L'obbligo di provvedere all'applicazione di armature di sostegno delle pareti, nello scavo di pozzi o di trincee profonde più di metri uno e cinquanta, quando la consistenza del terreno non dia sufficiente garanzia di stabilità, sussiste a partire dal momento in cui lo scavo raggiunge la profondità di metri uno e cinquanta e deve essere adempiuto prima di procedere oltre nell'escavazione in profondità e, man mano che procede lo scavo, si deve proseguire nel contemporaneo armamento; risponde, pertanto, di violazione della norma predetta, il datore di lavoro che, soltanto dopo avere ultimato lo scavo, a mezzo di escavatrice meccanica, di profondità superiore a metri uno e cinquanta, inizi le operazioni di applicazione delle armature di sostegno (Cass., 16 novembre 1971, n. 471). Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza del 16 gennaio 2002 n. 1588
Disparità di trattamento tra lavoratori della medesima posizione - titoli per ottenere la differenza economica o il risarcimento del danno - il c.d. E.D.R "elemento distinto della retribuzione". La eventuale disparità di trattamento tra lavoratori della medesima posizione, una volta che sia stato rispettato il dettato del CCNL, non costituisce titoli per ottenere la differenza economica o il risarcimento del danno. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto legittimo l'accordo sindacale in vigore presso l'azienda che aveva escluso i lavoratori neo-assunti dal diritto di percepire il c.d. E.D.R "elemento distinto della retribuzione". Cassazione sez. lavoro dell'8 gennaio 2002, sentenza n. 132
Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali - applicazione. Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali previsto dall’art. 2, comma 1 bis, della legge n. 638/1983, trova applicazione anche quando il datore di lavoro, pur essendovi tenuto, non abbia corrisposto la retribuzione. Cassazione Penale sezione III del 3 gennaio 2002, sentenza n. 32
Demansionamento - risarcimento del danno. La modifica "in peius" delle mansioni incide oltre che sulla potenzialità economica del lavoratore, anche sulla libera esplicazione della personalità, sulla vita professionale e di relazione, con conseguente diritto al risarcimento. Cassazione del 2 gennaio 2002 sentenza n. 10
Lavoro straordinario degli autotrasportatori - i dischi cronotachigrafi - la prova - la presunzione semplice - giudice del lavoro poteri istruttori. In tema di accertamento del lavoro prestato da un autotrasportatore e, quindi, dello straordinario eventualmente svolto da tale dipendente i dischi cronotachigrafi, in originale od in copia fotostatica, ove da controparte ne sia disconosciuta la conformità ai fatti in essi registrati e rappresentati, non possono fornire da soli piena prova, stante la preclusione sancita dall'art. 2712 c.c., né dell’effettuazione del lavoro e dell’eventuale straordinario, né dell’effettiva entità degli stessi, occorrendo a tal fine che la presunzione semplice costituita dalla contestata registrazione o rappresentazione anzidetta sia supportata da ulteriori elementi, pur se anch’essi di carattere indiziario o presuntivo, offerti dall’interessato o acquisiti dal giudice del lavoro nell’esercizio dei propri poteri istruttori. Cassazione sez. lavoro del 20 dicembre 2001, sentenza n. 16098
Periodo di comporto - sospensione per fruizione delle ferie - lavoratore assente per malattia può mutare il titolo dell’assenza richiedendo ferie già maturate - aspettativa non retribuita. Il principio secondo il quale un lavoratore assente per malattia può mutare il titolo dell’assenza richiedendo ferie già maturate. Ciò sospende il decorso del periodo di comporto anche se dopo tale richiesta il dipendente abbia fatto richiesta, in costanza di malattia, di un periodo di aspettativa non retribuita con decorrenza anteriore al godimento delle ferie stesse. Cassazione sez. lavoro del 17 dicembre 2001, sentenza n. 15594
Lavoratore disabile - patto di prova - licenziamento individuale - capacità 
  residua dell'invalido. Il recesso del datore di lavoro durante il periodo di 
  prova è sottratto alla disciplina limitativa del licenziamento individuale, 
  non richiedendo una formale comunicazione delle ragioni del recesso. Il lavoratore 
  può, tuttavia, contestare l'illegittimità dell'atto, sostenendo 
  in giudizio che l'esito negativo è stato determinato o influenzato dall'obbligo 
  di assunzione previsto dalla legge. Vale la pena di ricordare che le Sezioni 
  Unite della Cassazione con sentenza n. 1766 del 27 marzo 1979, ritenendo ammissibile 
  il patto di prova, hanno precisato che l'oggetto dello stesso deve essere limitato 
  alla capacità residua dell'invalido, senza alcun riferimento al rendimento 
  medio del lavoratore valido. Cassazione sez. lavoro del 17 dicembre 2001, sentenza 
  n. 15943
  
  Contratto a termine e forma scritta. L'indicazione del termine iniziale della 
  prestazione deve esser precedente o contestuale all'inizio della prestazione 
  lavorativa e non può esser sostituito da singoli atti relativi alla procedura 
  di avviamento o da un contratto stipulato successivamente all'inizio della stessa. 
  Cassazione del 14 dicembre 2001, sentenza n. 15801
Mansioni superiori - modalità del calcolo per il compimento del periodo di assegnazione - riposi settimanali - ferie - assenze per malattia. Ai fini del compimento del periodo di assegnazione a mansioni superiori, necessario per la previsione dell’art. 2103 C.C., si deve tenere conto dei riposi settimanali. La decisione della Corte trova il proprio fondamento nel fatto che i riposi settimanali, strettamente correlati alla prestazione lavorativa, sono pause insopprimibili e non procrastinabili (salvo casi eccezionali): essi cadenzano l’attività lavorativa e, in loro mancanza, lo stesso espletamento delle mansioni superiori può risultare pregiudicato. Diverso è, invece, il discorso relativo alle ferie ed alle assenze per malattia. Nel primo caso la Corte afferma che, l’assenza prolungata dal servizio per periodo feriale, non può far ritenere che in quel lasso di tempo maturi quella esperienza professionale in base alla quale si matura il diritto alla promozione automatica. Nella seconda ipotesi, le motivazioni sono analoghe e trovano riferimento in una precedente pronuncia dello stesso organo (Cass., 21 ottobre 1992, n. 11494). Cassazione del 13 dicembre 2001, sentenza n. 15766
Retribuzione proporzionata - imprenditorialità. Il principio costituzionale relativo al diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato, oltrechè sufficiente alle esigenze minime personali e familiari, è indubbiamente inapplicabile a quelle prestazioni che pur prevalentemente personali e coordinate, siano caratterizzate dalla imprenditorialità, sotto il profilo del ruolo svolto da fattori produttivi non riconducibili alla mera attività lavorativa del contraente, e della determinante influenza dei rischi tipici di impresa sul risultato economico rilevante ai fini del compenso. Cassazione del 12 dicembre 2001, sentenza n. 15661
Il patto di prova - forma e contenuto. Il patto di prova apposto al contratto di lavoro deve risultare non solo da atto scritto, ma anche contenere la specifica indicazione delle mansioni da espletare, in relazioni alle quali il datore di lavoro dovrà esprimere la propria valutazione sull’esito della prova; a tal fine, mentre non può ritenersi sufficiente la mera indicazione del reparto aziendale ove si svolgerà la prova del lavoratore, il riferimento al sistema classificatorio contenuto nella contrattazione collettiva può integrare la necessaria specificazione delle mansioni, ove le classificazioni contengano una nozione dettagliata del profilo professionale, idonea a specificare l’effettiva struttura delle mansioni e non si limitino ad un’indicazione positiva o negativa della preparazione professionale necessaria allo svolgimento delle mansioni medesime. Cassazione del 4 dicembre 2001, sentenza n. 15307
Mancato accantonamento per la Cassa Edile delle somme dovute ai lavoratori edili - reato di appropriazione indebita aggravata. Commette il reato di appropriazione indebita aggravata il datore di lavoro che, anziché accantonare presso un istituto di credito le percentuali da lui trattenute sulle somme spettanti ai lavoratori per ferie, gratifica natalizia e festività soppresse, mantenga le stesse, di proprietà dei dipendenti, nella sua materiale disponibilità. (Nella specie il datore di lavoro non solo ha omesso di accantonare le quote trattenute da versarsi alla Cassa Edile, ma le ha trattenute nella propria disponibilità). Cassazione Penale sezione II, del 22 novembre 2001, sentenza n. 41826
Part-time - contratto a tempo parziale. Il contratto a tempo parziale è 
  compatibile con il sistema del collocamento obbligatorio, purchè lo stesso 
  sia riferibile alla libera volontà del lavoratore, restando irrilevanti 
  le esigenze produttive dell’impresa. Cassazione del 22 novembre 2001, 
  sentenza n. 14823
  
  I requisiti identificativi della subordinazione. Il requisito fondamentale del 
  rapporto di lavoro subordinato è il vincolo di soggezione del lavoratore 
  al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale 
  discende dall'emanazione di specifici ordini, oltrechè dall'esercizio 
  di un'assidua attività di vigilanza e controllo dell'esecuzione delle 
  prestazioni. L'esistenza di tale vincolo va concretamente apprezzata con riguardo 
  alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore ed al modo della 
  sua attuazione. Cassazione sez. lavoro del 21 novembre 2001, sentenza n. 14664
  
  Periodo di preavviso - efficacia reale - diritto alle ferie. Secondo il principio 
  il quale il preavviso ha efficacia reale, discende la conseguenza che durante 
  il suo decorso proseguono gli effetti previsti dal contratto. Conseguentemente, 
  il lavoratore ha diritto di godere delle ferie durante il preavviso e che quest'ultimo, 
  se lavorato, comporta la maturazione del diritto al numero proporzionale correlato 
  di giorni di ferie, sicchè lo spostamento del termine finale del preavviso 
  avviene "ope legis". Cassazione del 21 novembre 2001, sentenza n. 
  14646 
Malattia grave - comunicazione prima della scadenza del periodo di comporto - limite massimo - comporto ordinario. In caso di tubercolosi o altra malattia grave per la quale la legge o il contratto prevedono la conservazione del posto per periodo eccedenti il limite massimo di comporto, incombe sul lavoratore l'onere della comunicazione della natura della malattia al proprio datore di lavoro, prima che lo stesso eserciti la facoltà di recesso ex art. 2110 C.C. alla scadenza del comporto ordinario. Cassazione del 19 novembre 2001, sentenza n. 14475
La determinazione della giusta retribuzione ex art. 36 della Costituzione. La determinazione della giusta retribuzione ex art. 36 della Costituzione, nei casi in cui le parti non aderiscono ai contratti collettivi di settore stipulati, non comporta l'automatica adesione alle tariffe minime previste dagli stessi. Infatti, secondo la Corte, si può procedere anche alla loro riduzione in ragione delle modeste dimensioni dell'impresa. Tale sentenza si pone in linea con il principio già affermato nella sentenza n. 12528 del 12 novembre 1998, secondo la quale in tema di adeguamento della retribuzione ex art. 36 Cost., la disciplina collettiva adottata come parametro non può trovare applicazione automatica soprattutto per quanto concerne speciali istituti retributivi riservati all'autonomia contrattuale (come i compensi aggiuntivi, integrativi dei minimi salariali o la 14^ mensilità). Cassazione del 15 novembre 2001, sentenza n. 14211
Mansioni diverse da quelle dell’assunzione - inadempimento contrattuale 
  - risarcimento del danno da dequalificazione professionale - competenza del 
  giudice di merito - liquidazione in via equitativa. Dall’art. 2103 c.c. 
  discende non soltanto il diritto del lavoratore all’effettivo svolgimento 
  della propria prestazione professionale, ma anche il diritto, in caso di inadempimento 
  contrattuale, al risarcimento del danno da dequalificazione professionale. Tale 
  danno può assumere aspetti diversi perché può essere correlato 
  sia all’impoverimento della capacità professionale già acquisita 
  che alla mancata acquisizione di maggiore professionalità, che nella 
  perdita di ulteriori opportunità di guadagno che, infine, nella lesione 
  di un diritto all’immagine, alla salute o, più semplicemente, alla 
  vita di relazione. La Suprema Corte conclude affermando che spetta al giudice 
  di merito accertare lo stesso, individuarne l’ammontare e procedere alla 
  sua liquidazione anche in via equitativa. Cassazione del 14 novembre 2001, sentenza 
  n. 14199
  
  Indennità di mensa e retribuzione. La mensa, come istituto contrattuale, 
  rientra nella busta paga, anche per quel che concerne gli istituti correlati, 
  soltanto allorché è accompagnato da una indennità sostitutiva 
  e solo in misura corrispondente al valore dell’indennità. Cassazione 
  del 14 novembre 2001, sentenza n. 14198
  
  Trasferimento d’azienda - natura transattiva degli accordi sindacali - 
  riconoscimento dell’anzianità - principio di continuità 
  del lavoro. L’accordo collettivo con il quale, in caso di passaggio d’azienda 
  e nella prospettiva di salvaguardare i livelli occupazionali, si preveda la 
  risoluzione dei singoli rapporti di lavoro con l’impresa cedente e la 
  costituzione di nuovi rapporti con il cessionario, è pienamente valido. 
  Esso ha efficacia vincolante nei confronti dei lavoratori iscritti alle associazioni 
  stipulanti o che abbiano aderito successivamente all’accordo anche nella 
  parte in cui esso libera il nuovo datore di lavoro dall’onere del riconoscimento 
  dell’anzianità pregressa di servizio, contenendo esso una deroga 
  convenzionale, pienamente valida, al principio di continuità del lavoro 
  stabilito dall’art. 2112, comma 1, c.c. Cassazione del 13 novembre 2001, 
  sentenza n. 14091 
  
  Disciplina delle visite mediche di controllo "ex lege" n. 638/1983 
  - cognizione del giudice ordinario. La disciplina delle visite mediche di controllo 
  "ex lege" n. 638/1983 prevede prestazioni d'opera professionale nell'ambito 
  di una attività autonoma continuativa svolta in regime convenzionale 
  e, quindi, estranea, data l'assenza di subordinazione, alla fattispecie del 
  pubblico impiego. Da ciò ne consegue che le relative controversie sono 
  devolute alla cognizione del giudice ordinario. Cassazione Sezioni Unite del 
  12 novembre 2001, sentenza n. 14026
Maturazione delle ferie durante la malattia - il diritto alle ferie - le condizioni fisiche compatibili con la funzione di riposo e di ricreazione. La maturazione delle ferie non trova limiti ostativi nella sospensione del rapporto dovuta a malattia e che l’autonomia privata trova un limite insuperabile, per quel che riguarda la loro durata, nella necessità di parificare ai periodi di servizio quelli dell’assenza per malattia. L’accoglibilità della richiesta, (nella specie relativa alla circostanza che dopo una lunga malattia il lavoratore richieda un periodo di ferie) in base alla necessità che il diritto alle ferie, irrinunciabile, sia esercitato in condizioni di salute, o almeno in condizioni fisiche compatibili con la funzione di riposo e di ricreazione. Cassazione Sezioni Unite del 12 novembre 2001, sentenza n. 14020
Illecito contrattuale - risarcimento del danno - prescrizione ordinaria (cinque anni). Il comportamento del datore di lavoro il quale non consenta ad un proprio dipendente di rientrare in servizio dopo un periodo di integrazione salariale, seguendo il criterio prefissato della rotazione, costituisce un illecito contrattuale. Da ciò ne consegue che il lavoratore ha diritto a chiedere il risarcimento del danno ex art. 1218 c.c.. Tale diritto è assoggettato alla prescrizione ordinaria (cinque anni), anche nella ipotesi in cui sia stato quantificato sulla base delle retribuzioni non percepite. Cassazione del 9 novembre 2001, sentenza n. 13926
Lavoratore inadempiente - il risarcimento del pregiudizio sofferto. Ai sensi dell'art. 2119 c.c. così come al datore di lavoro che licenzi un lavoratore inadempiente è precluso di domandare il risarcimento del pregiudizio sofferto per trovarsi costretto a reperire sul mercato un nuovo collaboratore a condizioni meno vantaggiose, non è consentito al lavoratore dimissionario per giusta causa ottenere altro che l'indennità di preavviso a compenso del pregiudizio specifico determinato dalla risoluzione del rapporto. Cassazione del 7 novembre 2001, sentenza n. 13782
La prestazione giornalistica di un soggetto privo dell’iscrizione all’albo. 
  La prestazione giornalistica di un soggetto privo dell’iscrizione all’albo 
  è da considerare come resa da un soggetto privo del requisito e l’eventuale 
  iscrizione dell’organismo professionale non può avere effetti retrodatati. 
  Ovviamente, secondo un indirizzo gia espresso dalla Suprema Corte il 1° 
  giugno 1998, il contratto di lavoro stipulato con un soggetto non iscritto all’albo 
  è invalido ma non illecito nell’oggetto e nella causa e, pertanto, 
  il lavoratore ha diritto, per il periodo in cui il contratto ha avuto esecuzione, 
  al trattamento economico relativo all’attività espletata. Cassazione 
  del 7 novembre 2001, sentenza n. 13778
  
  Periodo di preavviso di licenziamento - accettazione dell’indennità 
  sostitutiva. L’accettazione dell’indennità sostitutiva del 
  preavviso, con conseguente esonero dalle prestazioni per il periodo contrattualmente 
  previsto, comporta la immediata interruzione del rapporto di lavoro. Da ciò 
  ne consegue che al lavoratore non competono gli eventuali nuovi emolumenti introdotti 
  da disposizioni legislative intervenute successivamente all’accettazione 
  dell’indennità sostitutiva ed anteriormente alla scadenza del periodo 
  di preavviso. (Nel caso di specie il lavoratore licenziato era un dirigente 
  di una società finanziaria controllata dall’EFIM a cui la Corte 
  non ha ritenuto applicabile la legge n. 738/1994, che aveva esteso a tali dirigenti 
  i trattamenti supplementari previsti per i dirigenti EFIM). Cassazione del 2 
  novembre 2001, sentenza n. 13581 
  
  Preavviso di licenziamento - la prosecuzione del rapporto di lavoro - l'immediata 
  interruzione del rapporto. Il preavviso di licenziamento comporta la prosecuzione 
  del rapporto di lavoro e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza 
  del termine di preavviso previsto dal contratto solo nell'ipotesi in cui il 
  lavoratore continui nella prestazione della sua attività, mentre si verifica 
  l'immediata interruzione del rapporto quando intervenga fra le parti un accordo 
  in proposito, come nell'ipotesi di accettazione da parte del lavoratore dell'indennità 
  sostituiva del preavviso; ne consegue che allo stesso lavoratore non competono, 
  in quest'ultimo caso, nuovi emolumenti che siano introdotti da disposizioni 
  legislative intervenute successivamente all'accettazione dell'indennità 
  sostitutiva e anteriormente alla scadenza del periodo di preavviso. Cassazione 
  civile, sez. lav., 2 novembre 2001, n. 13580
  
  Demansionamento professionale - tutela giudiziale in via equitativa. In caso 
  di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 
  2103 c.c., il giudice di merito possa, con un apprezzamento adeguatamente motivato, 
  desumere l’esistenza di un danno derivante da un demansionamento, stabilendone 
  l’entità, anche in via equitativa, sulla base di elementi di fatto 
  relativi alla durata della qualificazione e di altre circostanze riferite al 
  caso concreto. Cassazione del 2 novembre 2001, sentenza n. 13580 
La sussistenza del reato di omissioni contributive - presupposti. Per effetto della sostituzione dell'art. 37 della legge n. 689/81 con l'art. 116, comma 19, della legge n. 388/00, la sussistenza del reato è condizionata da due presupposti: a) l'omesso versamento non deve essere inferiore a Euro 2582.28 mensili; b) l'omesso versamento non deve tener conto del maggiore importo tra questi e la metà dei contributi dovuti complessivamente. Cassazione Penale sezione III del 30 ottobre 2001 sentenza n. 38781
Lavoratore disabile o protetto (orfano, coniuge superstite, profugo) - patto di prova - il "controllo giudiziale". Con la nel confermare la legittimità del patto di prove in tutti quei casi nei quali l’assunzione avviene per effetto della normativa sul collocamento obbligatorio dei disabili, ha affermato due principi: a) il giudice di merito può verificare la validità o meno del recesso del datore di lavoro, impedendo che quest’ultimo basi l’esito negativo della prova, attraverso un riscontro con il rendimento dei c.d. lavoratori "sani"; b) il patto di prova è apponibile anche ai rapporti dei lavoratori che, seppur non invalidi, sono ugualmente protetti dalla legge (profughi, orfani, coniugi superstiti) ed anche rispetto ad essi si applica il "controllo giudiziale" correlato ad una eventuale elusione dell’obbligo di legge. Cassazione del 30 ottobre 2001, sentenza n. 13525
L’onere probatorio relativo al pagamento delle prestazioni lavorative effettuate oltre il normale orario di lavoro, è a carico del lavoratore. L’onere probatorio relativo al pagamento delle prestazioni lavorative effettuate oltre il normale orario di lavoro, è a carico del lavoratore. L’altra parte, infatti, non ha l’onere di dimostrare l’insussistenza di circostanze non dedotte dal ricorrente, né di fornire la prova contraria se l’attore viene meno all’onere probatorio. Cassazione del 17 ottobre 2001, sentenza n. 12695
Reintegrazione - natura risarcitoria delle somme dovute ed eccezione di "aliunde perceptum" - altro reddito percepito dal lavoratore. Le somme dovute dal datore di lavoro a seguito di sentenza di reintegra hanno natura risarcitoria. Dopo aver affermato tale principio la Corte ha, altresì, sostenuto che l’eventuale eccezione avanzata dal datore di lavoro circa la percezione di altro reddito di lavoro da parte del lavoratore (perché, nel frattempo, ha trovato un’altra occupazione c.d. aliunde perceptum) presenta caratteristiche di mera difesa ed è proponibile anche in appello, in quanto non si configura come un allargamento della materia su cui si deve decidere. Ovviamente, spetta al datore di lavoro provare, con i mezzi che la legge gli mette a disposizione, che il lavoratore ha percepito un altro reddito. Cassazione del 15 ottobre 2001, sentenza n. 12534
Lavoro parasubordinato - determinazione della retribuzione dovuta - valutazione equitativa del corrispettivo. Nella determinazione del compenso per un’attività di lavoro parasubordinata, una volta accertata l’inesistenza del rapporto subordinato, il giudice possa liquidare il compenso facendo riferimento ai criteri individuati dall’art. 2225 c.c.. Ciò è possibile, tuttavia, al termine di un iter logico motivato attraverso il quale il giudice di merito abbia accertato l’impossibilità oggettiva di una determinazione certa dell’importo dovuto. Da qui la valutazione equitativa che trae spunto dalla norma sopra riportata secondo la quale il corrispettivo, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe professionali o gli usi, è stabilito dal giudice in relazione al risultato ottenuto e al lavoro necessario per ottenerlo. Cassazione del 22 agosto 2001, sentenza n. 11210
La normativa sui condoni sia contributivi che tributari - effetti finanziari e processuali - facoltà di dilazione - decadenza dai benefici. La normativa sui condoni sia contributivi che tributari ha come scopo principale quello di consentire l’immediata percezione di entrate altrimenti sospese e di eliminare il contenzioso con tutto ciò che ad esso è correlato (aggravi economici ed organizzativi). L’accoglimento della domanda comporta l’estinzione di ogni contestazione sull’esistenza del debito contributivo, senza che sia perciò configurabile una lesione del diritto di difesa. Infatti, il condono è una via discrezionale e non obbligata, tanto è vero che chi ritiene di non essere tenuto all’obbligo contributivo conserva la possibilità di far valere le proprie ragioni. Da ciò, discendono conseguenze diverse per il giudice di merito adito: a) rigetto della domanda di accertamento negativo dell’obbligo contributivo proposta dopo l’adempimento degli obblighi derivanti dalla disciplina del condono; b) dichiarazione di cessata materia del contendere se l’adempimento è avvenuto nel corso del procedimento giudiziale; provvedimento meramente processuale qualora il beneficiario si sia avvalso della facoltà di dilazione: ciò consente di non pregiudicare l’originaria pretesa dell’Ente previdenziale nel caso in cui il soggetto obbligato dai benefici del condono decada per una qualsiasi ragione (es. mancato pagamento delle rate successive). Cassazione del 22 agosto 2001, sentenza n. 11205
Indebito contributivo - decorrenza degli interessi. La cassazione ha confermato, 
  risolvendo un problema di restituzione di somme a titolo di indebito contributivo 
  nei confronti dell’INAIL, derivante da erroneo classamento delle lavorazioni 
  ai fini della tariffa dei premi, che la decorrenza degli interessi e la rivalutazione 
  delle somme dovute, spetta dal momento della domanda amministrativa, attesa 
  la sostanziale equiparabilità di quest’ultima alla domanda giudiziale 
  ex art. 2033 C.C. Cassazione, del 10 agosto 2001, sentenza n. 11033 
  
  Potere discrezionale del datore di lavoro - l'accertamento sulla capacità 
  professionale - correttezza complessiva. Nel potere discrezionale del datore 
  di lavoro in ordine alla valutazione del comportamento del lavoratore, rientri 
  non soltanto l'accertamento sulla capacità professionale, ma anche quello 
  relativo alla correttezza complessiva ed al modo con il quale si manifesta la 
  sua personalità (nel caso di specie la Corte ha ritenuto pienamente legittimo 
  il recesso dell'imprenditore il quale aveva valutato negativamente la circostanza 
  che il lavoratore, nella domanda di assunzione, avesse "negato" la 
  sussistenza di precedenti penali a suo carico). Cassazione del 21 luglio 2001, 
  sentenza n. 9948
  
  Lavoratori stranieri e contratto a termine - scadenza del permesso di soggiorno 
  non comporta la risoluzione del rapporto ma soltanto una sospensione - giustificato 
  motivo di licenziamento. La normativa sui contratti a termine non può 
  trovare ostacolo nel fatto che sulla conclusione del rapporto possa incidere 
  un provvedimento dell’autorità amministrativa (es. Questura) con 
  il quale sia stata, a priori, fissata la scadenza del permesso di soggiorno. 
  La Suprema Corte ha argomentato tale indirizzo sostenendo che il principio di 
  parità di trattamento e di diritti con i cittadini italiani non può 
  essere precarizzato. Il requisito del termine con atto scritto non può, 
  quindi, essere surrogato dall’atto dell’autorità amministrativa: 
  da ciò ne consegue che non è legittima la tesi secondo cui alla 
  scadenza del permesso il rapporto si conclude automaticamente per impossibilità 
  sopravvenuta della prestazione. E’ pur vero che è vietata l’occupazione 
  del lavoratore extracomunitario privo del permesso di soggiorno e della autorizzazione 
  al lavoro in corso di validità, ma da ciò la Corte non fa discendere 
  automaticamente la risoluzione del rapporto, in quanto l’atto amministrativo 
  può essere rinnovato. La Suprema Corte evidenzia, una distinzione giuridica 
  affermando che la cessazione della validità del permesso non comporta 
  la risoluzione del rapporto ma soltanto una sospensione da ogni effetto giuridico 
  ed economico e può costituire giustificato motivo di licenziamento ai 
  sensi dell’art. 3 della legge n. 604/1966. Cassazione dell’11 luglio 
  2001, sentenza n. 9407
  
  Trasferimento di azienda - i rapporti di lavoro - disciplina dell’art. 
  2120 c.c.. Si ha trasferimento di azienda assoggettato per i rapporti di lavoro 
  alla disciplina dell’art. 2120 c.c., quando l’oggetto del trasferimento 
  risulta essere un complesso funzionale di beni idoneo a consentire l’inizio 
  o la prosecuzione dell’attività imprenditoriale. L’accertamento 
  della sussistenza di queste condizioni è demandata al giudice di merito 
  che, tuttavia, non può sindacarne la legittimità se congruamente 
  motivata. Deve escludersi che una regola contraria possa desumersi dall'art. 
  47, quinto comma, della legge 29 dicembre 1990, n. 428, perché la norma 
  si limita a consentire modifiche peggiorative del trattamento dei lavoratori 
  in deroga all'art. 2112 c.c., al fine di salvaguardare le opportunità 
  occupazionali, quando venga trasferita l'azienda di un'impresa insolvente, purché 
  - ferma restando la continuazione dei rapporti di lavoro - l'imprenditore cessionario 
  eserciti il potere modificativo sulla base di un contratto collettivo o individuale 
  (Cass. 12 maggio 1999, n. 4724). Cassazione civile, sez. lav., 23 giugno 2001, 
  n. 8621 
  
  Direttiva Cee 14 febbraio 1977, n. 77-187 - i limiti della salvaguardia dei 
  diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di aziende di imprese insolventi 
  - presupposto dell'obbligo risarcitorio. Non è pertinente il richiamo 
  della direttiva Cee 14 febbraio 1977, n. 77-187, come interpretata dalle sentenze 
  della Corte di giustizia 25 luglio 1991, n. C -362-1989 e 7 dicembre 1995, n. 
  C - 472-1993, in quanto precisa i limiti della salvaguardia dei diritti dei 
  lavoratori in caso di trasferimento di aziende di imprese insolventi, con il 
  solo effetto di rendere conformi alla direttiva le suddette limitazioni ad opera 
  dei diritti nazionali, non certo di impedire che siano previste dalle legislazioni 
  interne livelli di tutela eventualmente maggiori ancorché comportanti 
  maggiori rigidità del sistema. Ciò premesso in diritto, il problema 
  se, nella fattispecie concreta, sia stata trasferita un'azienda ovvero soltanto 
  beni aziendali, costituisce indagine di fatto, riservata al giudice del merito 
  e sottratta al sindacato di legittimità se congruamente motivata (cfr.Cass. 
  30 dicembre 1999, n. 14755). La giurisprudenza della Corte ha da tempo tratto 
  il convincimento che la norma costituisce una specificazione del generale principio 
  della responsabilità contrattuale (art. 1218 c.c.), sicché al 
  lavoratore compete, per il periodo in cui è stato allontanato dal posto 
  di lavoro e le prestazioni sono state rifiutate senza un motivo legittimo, un 
  risarcimento commisurato alle retribuzioni non percepite, quale lucro cessante 
  presunto iuris tantum (art. 1223 c.c.). Ne costituiscono puntuale applicazione 
  le decisioni che richiedono, quale indefettibile presupposto dell'obbligo risarcitorio 
  del datore di lavoro, l'imputabilità a costui dell'inadempimento secondo 
  il precetto generale dell'art. 1218 c.c., fatta eccezione per la misura minima 
  di cinque mensilità di retribuzione, la quale è assimilabile ad 
  una sorta di penale avente la sua radice nel rischio di impresa e può 
  assumere la funzione di un assegno di tipo, in senso lato, assistenziale nel 
  caso di assenza di responsabilità di tipo soggettivo in capo al datore 
  di lavoro (cfr. Cass., 21 settembre 1998, n. 9464; 2 maggio 2000, n. 5499; 11 
  maggio 2000, n. 6041); nonché, la rilevanza, in senso riduttivo del danno, 
  degli incrementi economici conseguiti dal lavoratore a causa del rifiuto opposto 
  dal datore di lavoro di ricevere le prestazioni (cd. aliunde perceptum), ai 
  sensi degli art. 1223 c.c. (cfr. Cass., sez. un., 22 marzo 1995, n. 3319; Cass. 
  29 marzo 1996, n. 2906; 5 giugno 1996, n. 5228; 4 febbraio 1998, n. 1150). Discende 
  da tali premesse che non può operare la presunzione semplice di danno 
  coincidente con la perdita delle retribuzioni in tutte quelle ipotesi in cui 
  deve escludersi che, nella situazione concreta, il lavoratore abbia diritto 
  al corrispettivo della prestazione lavorativa, in quanto la mancata esecuzione 
  non risulta imputabile al datore di lavoro. Cassazione civile, sez. lav., 23 
  giugno 2001, n. 8621 
  
  Caso di invalidità del licenziamento - principio della responsabilità 
  contrattuale - misura minima del risarcimento del danno - autotutela del lavoratore. 
  L'art. 18, comma 4, l. 20 maggio 1970 n. 300, (sostituito dall'art. 1 l. 11 
  maggio 1990 n. 108), nel prevedere, in caso di invalidità del licenziamento, 
  la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore 
  per effetto del licenziamento stesso, mediante corresponsione di una indennità 
  commisurata alla retribuzione non percepita, stabilisce una presunzione "iuris 
  tantum" di lucro cessante. Presupposto indefettibile per l'applicabilità 
  di tale disposizione, che costituisce una specificazione del generale principio 
  della responsabilità contrattuale, è l'imputabilità al 
  datore di lavoro dell'inadempimento, fatta eccezione per la misura minima del 
  risarcimento, consistente in cinque mensilità di retribuzione, la quale 
  è assimilabile ad una sorta di penale, avente la sua radice nel rischio 
  di impresa. Ne consegue che ove il licenziamento sia intervenuto in un periodo 
  di sospensione del rapporto di lavoro per effetto dell'esercizio, ex art. 1460 
  c.c., dell'autotutela del lavoratore, che abbia rifiutato di eseguire la propria 
  prestazione a fronte dell'inadempimento di quella del datore di lavoro, non 
  essendo configurabile, per tale periodo, il diritto alla retribuzione, in considerazione 
  della forma di tutela scelta dal lavoratore in sostituzione della normale tutela 
  giurisdizionale, non può operare la predetta presunzione di lucro cessante. 
  Pertanto, in tale ipotesi, correttamente la condanna del datore di lavoro al 
  risarcimento del danno, in caso di invalidità del licenziamento dallo 
  stesso intimato al lavoratore, è limitata al minimo di legge delle cinque 
  mensilità di retribuzione. Cassazione civile, sez. lav., 23 giugno 2001, 
  n. 8621 
  
  Trasferimento dell'azienda coattivo - il mezzo giuridico in concreto impiegato. 
  Nel trasferimento dell'azienda non osta, il fatto che si sia in presenza di 
  un trasferimento coattivo, poiché la fattispecie "trasferimento" 
  prescinde dall'esistenza di un rapporto contrattuale, assumendo esclusivo rilievo 
  non il mezzo giuridico in concreto impiegato ma soltanto che il nuovo imprenditore 
  diventi titolare del complesso organizzato di beni nel suo nucleo essenziale 
  (cfr., fra le più recenti decisioni, Cass., 27 dicembre 1999, n. 14568). 
  Cassazione civile, sez. lav., 23 giugno 2001, n. 8621 
La nozione di azienda intesa in senso oggettivo - gli sgravi contributivi per le nuove assunzioni - onere della prova. La nozione di azienda va intesa in senso oggettivo. Di conseguenza, il problema del riconoscimento degli sgravi contributivi non spettano allorché si è in presenza di elementi di permanenza della precedente struttura aziendale, come nel caso in cui vi sia una sostanziale identità tra l'impresa che ha proceduto ai licenziamenti e quella che ne ha disposto l'assunzione. L'onere della prova ricade, in ogni caso, sul datore di lavoro richiedente. Cassazione sez. lavoro del 22 giugno 2001, sentenza n. 8537
L'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro esonera il datore 
  di lavoro dalla responsabilità civile - danno biologico e morale - risarcimento 
  dei danni non patrimoniali - danno differenziale - responsabilità del 
  datore di lavoro. L'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro 
  esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni occorsi 
  al lavoratore e limita l'azione risarcitoria di quest'ultimo al danno differenziale 
  nel caso di esclusione di detto esonero per la presenza di responsabilità 
  penali ex. art. 10 DPR n. 1124/1965: in sostanza, l'assicurazione copre il danno 
  patrimoniale legato alla riduzione della capacità lavorativa e non il 
  danno alla salute o quello morale di cui all'art. 2059 C.C. che il lavoratore, 
  in armonia con i principi ricavabili dalle sentenze della Corte Costituzionale 
  n. 356 e n. 485 del 1991, può rivendicare ove sussistano i presupposti 
  di responsabilità del datore di lavoro. Cassazione del 16 giugno 2001 
  sentenza n. 8182
  
  Mancato godimento delle ferie - l'onere della prova. Grava sul lavoratore l'onere 
  della prova del mancato godimento delle ferie. Cassazione del 3 giugno 2000, 
  sentenza n. 7445
La maggiorazione del periodo lavorativo ai fini pensionistici. La maggiorazione del periodo lavorativo ai fini pensionistici, riconosciuta dall'art. 13 della legge 257/1992 e succ. mod., in favore dei "lavoratori" del settore dell'amianto esposti al rischio di malattia per oltre dieci anni, spetta soltanto ai lavoratori tuttora in servizio anche se titolari di pensione o assegno di invalidità e non a coloro che già usufruirono della pensione di vecchiaia o di anzianità. Cassazione sez. lavoro del 19 aprile 2001, sentenza n. 5764
Mansioni superiori - sostituzione di lavoratore assente - non attribuisce diritto alla promozione - le c.d. "sospensioni legali". La Suprema Corte offre una qualificazione della definizione di "lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto", la cui sostituzione non attribuisce diritto alla promozione ex art. 2103 C.C. Le ipotesi di sostituzione che non danno diritto sono le c.d. "sospensioni legali" (sciopero, funzioni pubbliche elettive, infortunio, malattia, gravidanza, puerperio, servizio civile o militare) o convenzionali del rapporto di lavoro, e non anche quello destinato, per scelta organizzativa del datore di lavoro, a lavorare in un altro reparto, o invitato a partecipare ad un corso di formazione. Cassazione sez. lavoro del 5 marzo 2002, sentenza n. 3145
Malattia - certificato e luogo di degenza - INPS - l’obbligo di verificare. 
  In materia di assenza per malattia che incombe sul lavoratore, nel momento in 
  cui invia ed al proprio datore, l’obbligo di verificare che sia stato 
  indicato (ed, in difetto, lo deve indicare lui stesso) il luogo del proprio 
  domicilio durante la malattia e di rendersi reperibile alle visite di controllo 
  disposte dall’INPS. Cassazione del 4 aprile 2001, sentenza n. 5023
  
  Mobbing - delitto di maltrattamento. Commette il delitto di maltrattamento previsto 
  dall'art. 572 c.p. il datore di lavoro che realizzi nei confronti di lavoratori 
  dipendenti ripetute e sistematiche vessazioni atte a produrre in essi uno stato 
  di abituale sofferenza fisica e morale. Cassazione Penale Sezione VI, del 12 
  marzo 2001, sentenza n. 10090
Responsabilità per l'igiene e la sicurezza dei luoghi di lavoro relativi agli uffici giudiziari si ripartisce tra il titolare del potere di controllo (capi degli uffici giudiziari) e il titolare del potere di spesa, spettante all'organo del comune (sindaco o assessore delegato o direttore dell'ufficio tecnico dotato di poteri decisori). In materia di responsabilità per l'igiene e la sicurezza dei luoghi di lavoro relativi agli uffici giudiziari, il dovere di sicurezza si ripartisce tra il titolare del potere di controllo, attribuito, dall'art. 2 d.lg. 19 marzo 1996 n. 242 e, sulla base di questo, dal decreto del Ministro della giustizia 18 novembre 1996 di attuazione, ai capi degli uffici giudiziari (che in tal modo hanno assunto la qualità di datori di lavoro ai sensi dell'art. 2 comma 1 lett. b) d.lg. 19 settembre 1994 n. 626), e il titolare del potere di spesa, spettante all'organo del comune (sindaco o assessore delegato al patrimonio immobiliare o direttore dell'ufficio tecnico dotato di poteri decisori) che eserciti in concreto la potestà di decisione e di spesa, atteso che, in forza dell'art. 1 l. 24 aprile 1941 n. 392, l'ente territoriale ha l'obbligo di provvedere a quanto necessita per "i locali ad uso degli uffici giudiziari" (Nella specie è stata annullata dalla Corte, con rinvio, la sentenza di condanna del dirigente dell'ufficio tecnico comunale, perché il giudice aveva omesso l'indagine e l'accertamento in ordine all'esistenza di una richiesta di intervento del Comune da parte del capo dell'ufficio giudiziario interessato e, ove vi fosse stato un positivo riscontro, anche in ordine all'individuazione dell'organo comunale titolare del potere di decisione e di spesa). Cassazione penale, sez. III, 2 marzo 2001, sentenza, n. 20904
Truffa aggravata nei confronti dello Stato e dell'INPS - simulazione nei contratti 
  di formazione e lavoro. Commette il delitto di truffa aggravata nei confronti 
  dello Stato e dell'INPS chi, dopo aver denunciato l'instaurazione di contratti 
  di formazione e lavoro, di fatto ponga in essere con i propri dipendenti normali 
  rapporti di lavoro subordinato, versando i contributi in misura inferiore al 
  dovuto. Cassazione penale 1 marzo 2001, Sezione II sentenza n. 8562 
  
  Gli obblighi previsti dal programma di formazione - finalità. Il discostamento 
  (anche non lieve) dagli obblighi previsti dal programma di formazione non comporta 
  la conversione del contratto ai sensi dell'art. 3 della legge n. 863/1984, qualora 
  si accerti in concreto il raggiungimento della sua prevalente finalità, 
  che è quella di consentire al giovane un ingresso "guidato" 
  nel mondo del lavoro, con il superamento del "gap" determinato dalle 
  precedenti esperienze esclusivamente scolari. Cassazione civile sez. lavoro 
  del 9 febbraio 2001, sentenza n. 1907
  
  Sono penalmente responsabili il sindaco e il capo dell’ufficio tecnico 
  per inosservanza delle norme relative alla prevenzione antinfortunistica e di 
  sicurezza. E' penalmente responsabile un sindaco che, pur avvertito, non si 
  curi di far rimuovere possibili violazioni a norme relative alla prevenzione 
  antinfortunistica. E’ ininfluente se il provvedere richieda una maggiore 
  spesa non preventivata, in quanto il sindaco ha sempre il potere di chiedere 
  le ''necessarie variazioni in bilancio'', o di attingere ''al fondo di riserva''. 
  Le stesse responsabilita' riguardano anche il capo dell'Ufficio Tecnico del 
  Comune, se, avvertito della violazione, ''non si avvalga dell'opera dei dipendenti 
  comunali per effettuare le opere richieste''. Nella specie il sindaco e il capo 
  dell’ufficio tecnico sono stati condannati dal Pretore di Lucera per inosservanza 
  delle norme di sicurezza durante l'esecuzione di lavori ad una scuola elementare. 
  Corte di Cassazione Sentenza del 20 gennaio 2001 sentenza, n. 257
Responsabilità del dirigente per ogni violazione di specifiche norme antinfortunistiche - la nozione di datore di lavoro pubblico nel dirigente - la posizione di garanzia assunta dal sindaco e dagli assessori in materia di prevenzione. In tema di norme per la prevenzione dagli infortuni, non si può ascrivere al dirigente ogni violazione di specifiche norme antinfortunistiche atteso che, sebbene l'art. 2, lett. b), seconda parte, D. Lgs. n. 626 del 1994, individua la nozione di datore di lavoro pubblico nel dirigente al quale spettano i poteri di gestione, l'art. 4, comma 12, D. Lgs citato ribadisce il principio fondamentale in materia di delega di funzioni secondo cui, attesa la posizione di garanzia assunta dal sindaco e dagli assessori in materia di prevenzione, la delega in favore del dirigente assume valore solo ove gli organi elettivi e politici siano incolpevolmente estranei alle inadempienze del delegato e non siano stati informati, assumendo un atteggiamento di inerzia e di colpevole tolleranza. (Nella specie la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito i quali avevano affermato, oltre quella del dirigente che non si era avvalso dei dipendenti comunali per effettuare le opere minimali necessarie, anche la responsabilità penale del sindaco il quale, messo a conoscenza delle violazioni esistenti e delle misure da adottare, non aveva provveduto a richiedere le necessarie variazioni in bilancio per una partita relativa a poche opere provvisionali e neppure azionato i poteri di impegnativa di spese del cd. fondo di riserva). Cassazione penale, sez. III, 24 novembre 2000, sentenza n. 257
Distinzione tra lavoro autonomo e subordinato - "nomen iuris" - gli 
  elementi principali della subordinazione - elementi sussidiari. Ai fini della 
  distinzione tra lavoro autonomo e subordinato occorre andare oltre il "nomen 
  iuris" e riferirsi al concreto atteggiarsi del rapporto fin dal momento 
  della sua instaurazione e sino a quello del successivo suo svolgimento. Gli 
  elementi che determinano la sussistenza della subordinazione, in tale prospettiva, 
  sono l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale, il suo assoggettamento 
  al potere gerarchico e disciplinare. Vi sono poi altri elementi sussidiari da 
  valutare globalmente come la retribuzione predeterminata da pagare a scadenze 
  fisse, l'assenza di una sia pur minima struttura imprenditoriale in capo al 
  lavoratore o l'inserimento della prestazione lavorativa offerta nell'ambito 
  della organizzazione imprenditoriale. Cassazione civile sez. lavoro del 19 maggio 
  2000, sentenza n. 6570
  
  Espropriazione forzata dei crediti - procedimento di esecuzione - competenza 
  appartenente al giudice del luogo di residenza del terzo debitore - terzo privo 
  di legittimazione passiva. In tema di espropriazione forzata di crediti, la 
  competenza territoriale per il procedimento di esecuzione appartiene al giudice 
  del luogo di residenza del terzo debitore, e, ove questo sia un istituto di 
  credito, al giudice del luogo ove ha sede l'agenzia che ha in carico il rapporto 
  da dichiarare; tuttavia, la circostanza che il creditore abbia indicato un'agenzia 
  che non ha in carico il suddetto rapporto attiene al merito e non incide sulla 
  competenza del giudice adito, giacchè la scelta del terzo debitore spetta 
  al creditore procedente e, ove questi individui un terzo privo di legittimazione 
  passiva, il terzo ben può dichiarare di non essere debitore dell'esecutato, 
  senza che ciò rilevi ai fini della competenza territoriale del giudice 
  dell'esecuzione. Cassazione civile, sez. lav., 3 novembre 1999, n. 12256
  
  Inquinamento da rumore - obbligo per il datore di lavoro di ridurre al minimo 
  i rischi derivanti dall'esposizione al rumore mediante le misure concretamente 
  attuabili - i mezzi di protezione dell'udito. In virtù della legge 29 
  dicembre 1990 n. 428, è stato emanato dal Governo il decreto legislativo 
  n. 277 del 15 agosto 1991, con il quale si è data attuazione alle direttive 
  C.E.E. comprese nell'elenco allegato alla legge suddetta. Per quanto qui interessa, 
  l'art. 41 di tale decreto - legislativo, premesso che il datore di lavoro deve 
  ridurre al minimo i rischi derivanti dall'esposizione al rumore mediante le 
  misure concretamente attuabili, ha fissato talune prescrizioni (esposizione 
  di una appropriata segnaletica, ecc.) in relazione ai luoghi di lavoro che possono 
  comportare un'esposizione personale quotidiana superiore a 90 dBA; l'art. 42 
  ha precisato il contenuto della "informazione e formazione" che deve 
  essere portato a conoscenza dei lavoratori esposti, rispettivamente, ad un rumore 
  superiore a 80 od a 85 dBA; gli artt. 43 e 44 hanno indicato i mezzi di protezione 
  dell'udito da fornire ai lavoratori che siano verosimilmente esposti ad oltre 
  85 decibel ed i controlli sanitari cui essi devono essere sottoposti; e l'art. 
  45, infine (Superamento dei valori limite di esposizione), ha stabilito che, 
  se nonostante le misure di applicazione previste dall'art. 41, comma primo, 
  l'esposizione al rumore risulta superiore a 90 dBA, il datore di lavoro comunica 
  all'organo di vigilanza le misure tecniche ed organizzative applicate, informando 
  i lavoratori ovvero i loro rappresentanti. Dalla lettura coordinata di tali 
  disposizioni emerge, quindi, che i c.d. valori - limite di esposizione al rumore 
  rappresentano una soglia intollerabile, in presenza del cui superamento incombono 
  sul datore di lavoro specifici oneri, e che tuttavia l'esposizione a rumori 
  che raggiungono soglie inferiori (ma superiori, in particolare, ad 85 decibel), 
  richiede pur sempre l'adozione di adeguati mezzi di protezione e l'assoggettamento 
  del lavoratore a controllo sanitario, per cui è da ritenersi, in definitiva, 
  che anche l'esposizione ad una rumorosità inferiore ai 90 decibel sia 
  idonea a pregiudicare l'apparato uditivo. Secondo quanto affermato da questa 
  Corte in un una fattispecie sostanzialmente analoga a quella in esame (Cass. 
  26 agosto 1992, n. 9860), può quindi affermarsi che l'accertamento che 
  la rumorosità lavorativa svolta non supera i valori indicati dall'art. 
  45 del d.l.vo n. 277 del 19919 non può costituire idonea fonte di valutazione 
  della richiesta diretta ad ottenere la prestazione prevista per la malattia 
  professionale denunciata, nè quindi esime il giudice dall'indagine medico 
  - legale in ordine alla sussistenza o meno della malattia, atteso che la tabella 
  delle malattie professionali contempla la sola esposizione al rischio della 
  lavorazione e che, del resto, la diversa capacità di resistenza di ciascun 
  organismo esposto al rischio non può influire sul riconoscimento della 
  tecnopatia. Cassazione civile, sez. lav., 7 aprile 1998, n. 3582
  
  Inquinamento acustico - esposizione dei lavoratori a rumori dannosi - l'adempimento 
  dell'obbligo di legge da parte del datore di lavoro - natura del reato. La omessa 
  valutazione del rischio da rumore configura il reato di cui agli art. 40 e 50 
  d.lg. 15 agosto 1991 n. 277; questo ha natura permanente e la permanenza cessa 
  con l'adempimento dell'obbligo di legge da parte del datore di lavoro, ovvero 
  con la sentenza di primo grado. Cassazione penale, sez. III, 18 febbraio 1998, 
  n. 4133
  
  Assunzione di lavoratori senza il prescritto tramite dell'Ufficio di collocamento 
  - la legge di depenalizzazione del reato - i provvedimenti di trasformazione 
  di reati in illeciti amministrativi - la trasmissione degli atti agli enti competenti 
  per l'applicazione delle sanzioni amministrative - obbligato da parte del giudice 
  - opposizione all'ordinanza ingiunzione - limite intrinseco al principio di 
  irretroattività della norma di depenalizzazione. Anche le disposizioni 
  della legge n. 689 del 1981 dettate, diversamente dai principi generali di cui 
  ai primi dodici articoli, in riferimento agli specifici casi di depenalizzazione 
  operati dalla medesima legge, possono trovare applicazione nelle depenalizzazioni 
  disposte da leggi successive, nelle quali sia ravvisabile una lacuna normativa 
  contrastante con le loro finalità. In particolare l'art. 40 della legge 
  n. 689 del 1981, secondo cui le sanzioni amministrative si applicano anche alle 
  violazioni (già penalmente sanzionate) commesse anteriormente all'entrata 
  in vigore di detta legge di depenalizzazione, é analogicamente applicabile 
  anche alla depenalizzazione, attuata dall'art. 26 della legge 28 febbraio 1987 
  n. 56, dell'assunzione di lavoratori senza il prescritto tramite dell'Ufficio 
  di collocamento (fattispecie già sanzionata penalmente dall'art. 33, 
  dodicesimo comma, e dall'art. 38 della legge n. 300 del 1970). Infatti una simile 
  depenalizzazione non ha la finalità di sanare i precedenti illeciti, 
  ma quella di alleggerire la punizione dei responsabili e alleviare i compiti 
  della oberata giurisdizione penale. Su tale retroattività della legge 
  di depenalizzazione peraltro prevale - come in ogni altro caso analogo - la 
  precedente estinzione del recato per amnistia o prescrizione che sia invocata 
  dall'interessato in sede di opposizione all'ordinanza - ingiunzione di pagamento 
  della sanzione amministrativa. Cassazione Sez. Lav. del 9.9.1996, sent. n. 92
13/12/2006
MANSIONI SUPERIORI DEI DIPENDENTI PUBLLICI
CONSIGLIO 
  DI STATO, SEZ. V - sentenza 13 dicembre 2006 n. 7348 
  
Per la retribuibilità delle mansioni 
  superiori svolte dai dipendenti pubblici occorrono non solo un'espressa previsione 
  normativa, ma anche altri tre presupposti e cioè: a) un preventivo provvedimento 
  di incarico (salvo gli obblighi sostitutivi posti dall'art. 7 del D.P.R. 
  27 marzo 1969, n. 128, limitatamente al personale medico con qualifica di aiuto 
  per la sostituzione del primario); b) la disponibilità del relativo posto 
  in organico; c) che l’incarico concerna mansioni della qualifica immediatamente 
  superiore .La retribuibilità delle mansioni superiori svolte dai dipendenti 
  pubblici è stata prevista con carattere di generalità solo con l’art. 56 del 
  D. L.vo n. 29/93, nel testo sostituito dall’art. 25 D. L. vo 
  n. 80/98, che ha regolamentato ex novo la materia, attribuendo 
  al lavoratore del settore pubblico le differenze retributive dovute per svolgimento 
  delle mansioni superiori anche nel caso di assegnazione nulla per violazione 
  delle condizioni prescritte, con la contestuale attribuzione di responsabilità 
  al Dirigente che ha disposto l’incarico in caso di dolo o colpa grave. Ma anche 
  l’applicazione di tale disposizione è stata rinviata, finchè non è intervenuto 
  l’art. 15 del D. L. vo 
  29 ottobre 1998 n. 387 e poi l’art. 52 del D. L.vo 
  30 marzo 2001 n. 165. Detta nuova disciplina è però inapplicabile 
  alle situazioni esauritesi prima del 1998.
SOSPENSIONE CAUTELARE DAL SERVIZIO
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - sentenza 13 dicembre 2006 n. 7363 
Il pubblico dipendente, dopo la sospensione cautelare dal servizio per il periodo dell'arresto subito o dopo la conclusione del procedimento penale, non ha una posizione di diritto soggettivo alla riammissione in servizio, ben potendo la sospensione cautelare - non più obbligatoria ma facoltativa - essere ulteriormente prorogata. La cessazione della misura coercitiva che ha comportato la sospensione obbligatoria del pubblico dipendente dal servizio non è per sé sufficiente a determinare il diritto all'automatica riassunzione dell'impiegato sospeso precauzionalmente dal servizio a seguito di arresto, occorrendo un esplicito provvedimento di riassunzione dell’Amministrazione, con l'obbligo di valutare la situazione che si è verificata, con riferimento al pubblico interesse attuale, al fine di provvedere, mediante un apposito atto congruamente motivato, nel senso di una riassunzione oppure della trasformazione della sospensione obbligatoria in facoltativa .
12/12/2006
DIRITTO DI ACCESSO E SEGRETO PROFESSIONALE
TAR 
  CALABRIA - REGGIO CALABRIA - sentenza 12 dicembre 2006 n. 1817 
L'art. 2 del Decreto Presidenziale 
  del Consiglio 26 gennaio 1996, n. 200 (Regolamento recante norme per la disciplina 
  di categorie di documenti dell’Avvocatura dello Stato sottratti al diritto di 
  accesso) - che esclude dall’accesso i pareri resi dall'Avvocatura dello 
  Stato in relazione a lite in potenza o in atto e la inerente corrispondenza, 
  gli atti defensionali e le corrispondenza - risulta applicabile, in quanto norma 
  di principio, anche al di là dell’ambito della difesa erariale; tale norma ha 
  una portata di carattere generale e codifica il principio, valevole per tutti 
  gli avvocati del libero foro od appartenenti ad uffici legali di enti pubblici, 
  secondo cui, essendo il segreto professionale specificatamente tutelato dall’ordinamento, 
  sono sottratti all’accesso gli scritti defensionali, in ossequio all’esigenza 
  di salvaguardare la strategia processuale che la parte intende assumere, non 
  essendo la stessa tenuta a rivelare ad alcun soggetto gli argomenti in base 
  ai quali intende confutare le pretese avversarie. E’ legittimo il diniego 
  di accesso nel caso in cui sia stato richiesto un atto riguardante una controversia 
  giudiziaria pendente, in cui è parte un ente locale, atteso che secondo 
  l’articolo 2 del Decreto Presidenziale del Consiglio 26 gennaio 1996, n. 200 
  - applicabile, in quanto norma di principio, anche al di là dell’ambito della 
  difesa erariale - ai sensi dell’art. 24, primo comma, della legge n. 241/1990, 
  in virtù del segreto professionale, già previsto dall’ordinamento al fine di 
  salvaguardare la riservatezza nei rapporti tra difensore e difeso, sono sottratti 
  all’accesso i seguenti documenti: a) pareri resi in relazione a lite in potenza 
  o in atto e la inerente corrispondenza; b) atti defensionali; c) corrispondenza 
  inerente agli affari di cui ai punti a) e b).
11/12/2006
DIRITTO AL LAVORO DEI DISABILI
TAR 
  LAZIO - ROMA, SEZ. II BIS - sentenza 11 dicembre 2006 n. 14126 
Ai sensi degli articoli 46 e 47 
  del D.P.R. 
  28 dicembre 2000 n. 445, gli "stati, qualità personali e fatti" 
  possono essere comprovati dall’interessato mediante la dichiarazione sostitutiva 
  di certificazione o atto di notorietà, dovendo ravvisarsi sul piano normativo, 
  in base all’art. 77 bis D.P.R. cit., introdotto dall’art. 15 della legge 16 
  gennaio 2003, n. 3, una piena equiparazione, agli effetti probatori, 
  fra certificato e dichiarazione sostitutiva anche in materia di documentazione 
  dei requisiti di partecipazione a procedure concorsuali per l’affidamento di 
  un appalto; è, pertanto, illegittima l’esclusione di un concorrente da una gara 
  pubblica, motivata con riferimento alla presentazione della sola dichiarazione 
  sostitutiva e non anche della apposita certificazione prescritte dall’art. 17 
  della L. n. 68/1999, 
  circa il rispetto delle norme sul diritto al lavoro dei disabili.
05/12/2006
COMPENSO SOSTITUTIVO PER FERIE NON GODUTE
TAR 
  PUGLIA - LECCE, SEZ. II - sentenza 5 dicembre 2006 n. 5653 
L’art. 36, comma 3, della Costituzione, per il quale il lavoratore ha "diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro", va interpretato nel senso che il carattere indisponibile e/o l’irrinunciabilità del diritto alle ferie non può escludere l’obbligo dell’Amministrazione di corrispondere al lavoratore il pagamento di una somma equivalente a quella pagata per le normali giornate lavorative, denominata indennità sostitutiva delle ferie non godute, quando il lavoratore è stato impossibilitato (cioè in assenza della sua volontà) a godere delle ferie. Nell’ambito di un rapporto di lavoro alle dipendenze di un ente locale, ai sensi dell’art. 18 del CCNL 1994-1997, ove non vi sia la possibilità per il dipendente di fruire delle ferie dopo il periodo di maturazione delle stesse, deve procedersi al pagamento, in favore del lavoratore dipendente, di un compenso sostitutivo delle stesse.
30/11/2006
CONCORSO E RISERVE DI POSTI PER DISABILI
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - sentenza 30 novembre 2006 n. 7004 
L’art. 16 della legge 13 marzo 1999 n. 68 (secondo cui "i disabili che abbiano conseguito la idoneità nei concorsi pubblici possono essere assunti…anche se non versino in stato di disoccupazione") non ha fatto venir meno il requisito dello stato di disoccupazione, che deve essere posseduto e comprovato, ai fini dell'applicazione delle riserve dalla stessa legge previste, alla data di presentazione della domanda di partecipazione al concorso. E’ pertanto legittimo il provvedimento con il quale la P.A. non ha riconosciuto ad una concorrente la riserva di posti (nella specie, quale invalida civile), per non avere la stessa documentato, all’atto della domanda di inserimento nella graduatoria permanente, lo stato di disoccupazione attraverso il certificato di iscrizione all’U.P.L.M.O.
23/11/2006
PRESCRIZIONE DEI CREDITI RETRIBUTIVI NEL PUBBLICO 
  IMPIEGO
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - sentenza 23 novembre 2006 n. 6905
La prescrizione dei crediti retributivi relativi ad un rapporto di lavoro con la Pubblica 
  Amministrazione decorre in costanza del rapporto stesso anche se quest’ultimo 
  abbia carattere provvisorio o temporaneo, in quanto non è sostenibile, per 
  la natura del rapporto, che il dipendente pubblico, possa essere esposto a possibili 
  ritorsioni e rappresaglie (così come può accadere per il rapporto di lavoro 
  privato), quando egli tuteli in via giudiziale i propri diritti ed interessi. 
  Il compenso sostitutivo per ferie non godute non ha la sua fonte in una 
  disciplina espressa, ma trova ragione nella violazione dell’art. 36 Cost., per 
  il quale il lavoratore ha "diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità 
  e qualità del suo lavoro". Il compenso ha, dunque, natura retributiva, 
  perché nel rapporto sinallagmatico è il corrispettivo di una prestazione lavorativa 
  aggiuntiva (rispetto a quella ordinariamente dovuta). La indennità c.d. di tempo 
  potenziato (pari ad una somma fissa mensile per tutta la durata dell'anno scolastico) 
  è stata riconosciuta ai docenti delle scuole materne comunali dall’art. 45, 
  6° comma, del D.P.R. 3 agosto 1990, n. 333, a compensazione della prestazione 
  lavorativa aggiuntiva di cinque ore settimanali dell'orario di lavoro introdotta 
  dall'art. 41, 1° comma, del D.P.R. citato. Nel rapporto sinallagmatico, detta 
  indennità è il corrispettivo, di natura retributiva, della richiesta contrattuale 
  di una maggiore prestazione lavorativa oraria. 
20/11/2006
SCORRIMENTO DELLE GRADUATORIE DEI CONCORSI
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - sentenza 20 novembre 2006 n. 
  6775 
Il Consiglio di Stato ha stabilito che è illegittimo il provvedimento con il quale una Università degli Studi ha respinto la istanza di scorrimento della graduatoria del concorso per il conferimento dei posti, della prima e della seconda qualifica funzionale del ruolo speciale del personale tecnico, scientifico e delle biblioteche, atteso che l’art. 23 della legge n. 23/1986 - con riguardo ai concorsi per il personale universitario non docente previsti dal precedente comma terzo (assimilabili al suddetto tipo di concorsi) - ha trasformato in obbligo la facoltà, attribuita alle Amministrazioni statali dall'art. 8 del T.U. 10 gennaio 1957 n. 3, di conferire i posti resisi scoperti per rinuncia, decadenza o dimissioni dei vincitori agli idonei secondo l'ordine della graduatoria.E’ illegittimo il provvedimento adottato da una P.A. con il quale è stata respinta la domanda di scorrimento di una graduatoria presentata da un concorrente idoneo a seguito della cessazione dal servizio di uno dei vincitori del concorso, nel caso in cui non siano state comunque esternate le ragioni per le quali si è ritenuto non opportuno coprire, con l’utilizzo di una risorsa professionale valutata già idonea, un posto resosi libero, che rientrava tra i posti del concorso bandito.
13/11/2006
REQUISITO DELLA CITTADINANZA ITALIANA PER 
  L’ACCESSO A POSTI DI 
  PUBBLICO IMPIEGO
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAVORO - sentenza 13 novembre 2006 n. 24170 
  
Il requisito della cittadinanza italiana per gli impiegati pubblici non può ritenersi abrogato; tale requisito opera anche nella materia della speciale tutela garantita ai disabili ed è richiesto per accedere al lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione dall’art. 2 del d.P.R. 9 maggio 1994 n. 487 – norma "legificata" dall’art. 70, comma 13, del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 – e dal quale si prescinde, in parte, solo per gli stranieri comunitari altroché per casi particolari (art. 38, d.lgs. n. 165 del 2001; art. 22 del d.lgs. n. 286 del 1998); esso si inserisce nel complesso delle disposizioni che regolano la materia particolare dell’impiego pubblico, materia fatta salva dal d.lgs. n. 286 del 1998 che, in attuazione della convenzione Oil n. 175 del 1975, sancisce, in generale, parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti per i lavoratori extracomunitari rispetto ai lavoratori italiani . L’esclusione dello straniero non comunitario dall’accesso al lavoro pubblico, al di fuori delle eccezioni espressamente previste dalla legge, non è sospettabile di illegittimità costituzionale, sia perché si esula dall’area dei diritti fondamentali, sia perchè la scelta del legislatore è giustificata dalle stesse norme costituzionali (art. 51, 97 e 98 Cost.) .Non può ritenersi discriminatorio, in quanto fondato sulla cittadinanza del richiedente, il rifiuto opposto da una P.A. di iscrivere un cittadino extracomunitario nelle liste riservate ai disabili per l'accesso anche al lavoro presso le pubbliche amministrazioni, ai sensi della legge n. 68 del 1999.
09/11/2006
CONCORSO PUBBLICO QUALE REGOGA GENERALE PER 
  L’ACCESSO AL PUBBLICO IMPIEGO
CORTE 
  COSTITUZIONALE - sentenza 9 novembre 2006 n. 363
Il concorso pubblico – quale meccanismo 
  imparziale di selezione tecnica e neutrale dei più capaci sulla base del criterio 
  del merito – costituisce la forma generale e ordinaria di reclutamento per le 
  pubbliche amministrazioni; esso 
  è posto a presidio delle esigenze di imparzialità e di efficienza dell’azione 
  amministrativa. Le eccezioni a tale regola consentite dall’art. 97 Cost., 
  purché disposte con legge, debbono rispondere a peculiari e straordinarie esigenze 
  di interesse pubblico; altrimenti la deroga si risolverebbe in un privilegio 
  a favore di categorie più o meno ampie di persone (2). Perché sia assicurata 
  la generalità della regola del concorso pubblico disposta dall’art. 97 Cost., 
  l’area delle eccezioni va, pertanto, delimitata in modo rigoroso.                                            
  Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, della 
  legge della Provincia autonoma di Bolzano 20 giugno 2005, n. 3 (Modifiche di 
  leggi provinciali in vari settori e altre disposizioni), il quale - in violazione 
  del principio del pubblico concorso ex art. 97 Cost. ed in mancanza di 
  ragioni giustificatrici della deroga - prevede che il personale dirigente 
  nominato a tempo determinato per chiamata dall’esterno – qualora abbia prestato 
  servizio per almeno sei anni, svolgendolo «con particolare successo» – può essere 
  iscritto, con delibera della Giunta provinciale, nella sezione A) dell’albo 
  degli aspiranti dirigenti, e che tale iscrizione comporta la costituzione di 
  un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con inquadramento nella qualifica 
  funzionale corrispondente al titolo di studio richiesto per l’incarico dirigenziale 
  ricoperto.
07/11/2006
ESCLUSIONE DAL CONCORSO PER COPIATURA
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - sentenza 7 novembre 2006 n. 6558 
L’art. 13, comma 4°, del d.P.R. 
  9 maggio 1994, n. 487 (il quale prevede l’esclusione dal concorso 
  nei casi in cui risulti che "il concorrente abbia copiato in tutto o in 
  parte lo svolgimento del tema") costituisce disposizione di chiaro contenuto 
  e di immediata valenza precettiva, la quale non richiede ulteriore esplicitazione 
  in sede di elaborazione da parte della commissione di esame, ai sensi dell’art. 
  12 dello stesso D.P.R., delle modalità e dei criteri di massima cui conformarsi 
  in sede di valutazione degli esiti delle prove. Il divieto di copiatura previsto 
  dall’art. 13, comma 4°, del d.P.R. 
  9 maggio 1994, n. 487, è volto a garantire l’originalità del prodotto 
  intellettuale del candidato quale elemento rivelatore del grado di maturità 
  e di preparazione richiesto per assolvere i compiti nel posto messo a concorso; 
  la violazione del divieto in parola sussiste solo nei casi in cui dalla prova 
  scritta emerga: a) una riproduzione fedele del testo non ammesso a consultazione; 
  b) un’impostazione del tema, o di parte di esso, che costituisca un’imitazione, 
  con carattere pedissequo e fraudolento, del testo assunto a parametro confronto. 
  E’ illegittimo il provvedimento di esclusione dal concorso per copiatura ai 
  sensi dell’art. 13, comma 4°, del d.P.R. 
  9 maggio 1994, n. 487, nel caso in cui nell’elaborato manchi una 
  pedissequa riproduzione di frasi e proposizioni contenute nel testo assunto 
  a termine di confronto, e risulti comunque che la porzione di elaborato che 
  si afferma inficiato da "copia" sia ridotta rispetto al testo complessivo 
  dell'elaborato (nella specie tale porzione era costituita da una sola pagina 
  sulle otto in cui era stata articolata la prova scritta), il che avvalora le 
  capacità di autonoma rielaborazione del candidato di nozioni relative all’argomento 
  proposto. La circostanza che un candidato, nel redigere l’elaborato concorsuale, 
  si sia attenuto all’impostazione di un manuale non può essere elevato a univoco 
  elemento rilevatore dell’assenza di ogni originale elaborazione, potendo invece 
  l’ordine argomentativo osservato essere ragionevolmente ricondotto a precedente 
  studio ed approfondimento ed alle ordinarie capacità mnemoniche del candidato
16/10/2006
PUBBLICO IMPIEGO E PROCEDIMENTO DISCIPLINARE
Consiglio di Stato, Sez. VI 
  - sentenza 16 ottobre 2006 n. 6126 
Ai fini della prosecuzione o dell’avvio 
  del procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti condannati 
  in sede penale a titolo definitivo, il termine di 90 giorni di cui all’art. 
  5, comma 4, della legge 27 
  marzo 2001, n. 97, trova applicazione solo per le condanne relative 
  ai reati indicati nell’art. 3 della stessa legge (cioè quelli previsti dagli 
  artt. 314, primo comma, 317, 318, 319, 319 ter, e 320 del codice penale 
  e dall’art. 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383), dovendosi in tal senso 
  intendere la dizione "sentenza penale irrevocabile di condanna nei confronti 
  dei dipendenti indicati nel comma 1 dell’art. 3" contenuta nell’art 5, comma 
  4, cit., il che costituisce l’unica logica deduzione ritraibile da tale riferimento 
  .Ai fini della prosecuzione o dell’avvio del procedimento disciplinare nei confronti 
  dei pubblici dipendenti condannati in sede penale a titolo definitivo, nei casi 
  di condanna per ogni diversa fattispecie di reato, non rientrante tra quelle 
  espressamente nominate dall’art. 3 della legge 27 
  marzo 2001, n. 97, trova applicazione l’art. 9, comma 2, della legge 
  7 febbraio 1990, n. 19, che prevede, per la prosecuzione del procedimento disciplinare 
  sospeso o per la sua promozione, il diverso termine di 180 giorni decorrenti 
  dalla data in cui l’amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile 
  di condanna. La rapida definizione dell’istanza di ricusazione in sede disciplinare 
  non indica di per sé né "abuso di potere", né disparità di trattamento, ma, 
  in linea di massima, solo la evidente infondatezza della stessa istanza, la 
  quale è sovente utilizzata a fini meramente dilatori (alla stregua del principio 
  è stato ritenuto infondato il motivo, dichiarato assorbito in primo grado, secondo 
  cui era illegittimo il provvedimento di rigetto di una istanza di ricusazione 
  perchè adottato solo poche ore dopo la trasmissione della stessa istanza di 
  ricusazione).
05/10/2006
PUBBLICO IMPIEGO E RIAMMISSIONE IN SERVIZIO
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAVORO - sentenza 5 ottobre 2006 n. 21408 
L’istituto della riammissione in servizio del dipendente dimissionario di amministrazione pubblica (previsto dall'art. 132 del Testo Unico approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3), presupponendo la decisione discrezionale dell’amministrazione di coprire il posto rimasto scoperto a seguito delle dimissioni, non prevede un diritto alla riammissione a favore del dipendente dimissionario. La privatizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche ha lasciato inalterato il regime - in materia di reclutamento del personale - che resta, pertanto, identico sia per il personale rimasto in regime di diritto pubblico (art. 4, decreto legislativo n. 165/2001), sia per quello in regime contrattuale .Per i lavoratori con i quali si costituisce, mediante contratto, il rapporto di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche - il diritto soggettivo a stipulare il contratto - correlato all'obbligo dell'amministrazione di prestare il proprio consenso - è configurabile soltanto in favore dei soggetti individuati all'esito della procedura concorsuale.
05/10/2006
PROGRESSIONE DI CARRIERA DEL DIPENDENTE PUBBLICO
Consiglio di Stato , sez. IV, 
  decisione 05.10.2006 n. 5938 
In relazione al caso de quo, alcuni soggetti appartenenti all’area 
  C, pos. ec. C2, hanno impugnato dinanzi al T.A.R . Lazio gli atti relativi alla 
  procedura selettiva interna per l’accesso alla posizione economica C3, profilo 
  professionale “ufficiale giudiziario”, presso il Ministero della Giustizia, 
  nonché gli atti presupposti, chiedendo, altresì, l’accertamento del diritto 
  a partecipare alla procedura medesima.
Il T.A.R. adito, ritenuta sussistente 
  la propria giurisdizione, accoglie il ricorso.         Contro 
  la pronuncia del giudice di prime cure, propone ricorso in appello il Ministero 
  della Giustizia che deduce in primis il difetto di giurisdizione del 
  giudice amministrativo.                 
  I giudici del Consiglio di Stato, preliminarmente, richiamano l’Ordinanza 
  26 febbraio 2004, n. 3948 delle Sezioni Unite della Cassazione - 
  che attiene a fattispecie identica a quella in esame - con la quale è stato 
  precisato il quadro complessivo della giurisdizione in materia di procedure 
  selettive nei seguenti termini:
a) 
  giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie relative a concorsi 
  per soli esterni;
b) 
  giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie relative a concorsi 
  misti;
c) 
  giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie inerenti concorsi 
  per soli interni comportanti passaggio da un’area ad altra (salva la verifica 
  di legittimità delle norme che escludono l’apertura all’esterno);
d) 
  residuale giudizio del giudice ordinario sulle controversie attinenti a concorsi 
  per soli interni, comportanti il passaggio da una qualifica ad altra, ma nell’ambito 
  della medesima area.*
Nella controversia in esame, pertanto, trattandosi di passaggio, all’interno 
  dell’area C, dalla posizione C2 alla posizione C3, ricorre l’ipotesi indicata 
  sub d).
Dunque, si tratta di procedure di avanzamento interne alla stessa area, 
  rientranti nell’attività di gestione del rapporto di lavoro in quanto incidenti 
  sulla prestazione richiesta a parità di categoria di inquadramento; mentre, 
  solo in caso di atto finalizzato alla assunzione in una categoria superiore, 
  vi è quella novazione oggettiva del rapporto, richiamata dalla Cassazione (cfr., 
  per tutte, sentenza 
  15 ottobre 2003 n. 15403) quale indice che distingue le progressioni 
  verticali (attribuite alla cognizione del G.A.) da quelle orizzontali (assegnate 
  alla giurisdizione del G.O.).
In conclusione, per i giudici 
  di Palazzo Spada, le controversie scaturenti 
  dall'impugnazione degli atti delle procedure concorsuali di avanzamento orizzontale 
  all'interno della stessa area rientrano nell'attività di gestione del rapporto 
  di lavoro ormai privatizzato e rimesso alla cognizione del giudice ordinario 
  in ogni suo aspetto.
07/09/2006
PUBBLICO IMPIEGO: LEGITTIMO IL RINNOVO CONTINUATO 
  DI CONTRATTI A TERMINE
Corte di Giustizia UE , sez. II, sentenza 07.09.2006 n° C-180/04 
  
La Corte Europea di Giustizia, 
  con sentenza del 7 settembre 2006, causa C-53/04 e C-180/04, ha stabilito che 
  è lecito l’utilizzo di più contratti a termine con lo stesso lavoratore nel 
  rapporto di lavoro pubblico, in deroga alla previsione che dispone la trasformazione 
  a tempo indeterminato. La corte  ha affermato la piena legittimità, rispetto 
  all'ordinamento comunitario, del d.lgs n. 
  165/2001 nella parte in cui ammette alle pubbliche amministrazioni 
  l'utilizzazione di più contratti a termine, con lo stesso lavoratore, senza 
  che questi siano trasformati in rapporto a tempo indeterminato, così come avviene 
  con la normativa del settore privato. Tuttavia, il rinnovo continuato da diritto 
  ad un risarcimento del danno in favore del lavoratore interessato.
La vicenda vede interessato un cuoco di un’azienda ospedaliera pubblica 
  che dopo due successivi contratti a tempo determinato (il primo per il periodo 
  5 luglio 2001 - 4 gennaio 2002 e il secondo, firmato il 2 gennaio 2002 fino 
  all’11 luglio 2002) si presenta sul posto di lavoro al termine del secondo contratto 
  e viene formalmente licenziato.L’interessato impugna la decisione di licenziamento 
  dinanzi al Tribunale di Genova, chiedendo a quest’ultimo, da una parte, di dichiarare, 
  sulla base del d.lgs. 
  n. 368/2001, la sussistenza di un rapporto lavorativo a tempo indeterminato 
  con l’azienda ospedaliera e, dall’altra, di condannare l’azienda stessa al pagamento 
  delle retribuzioni dovute e al risarcimento del danno subito.L’azienda ospedaliera 
  resiste opponendo l’inapplicabilità dell’art. 5 del d.lgs. 
  n. 368/2001, in virtù dell’art. 36 del d.lgs. 
  n. 165/2001 che vieta alle pubbliche amministrazioni di stipulare 
  contratti di lavoro a tempo indeterminato.Il giudice, pur ritenendo che l’art. 
  36 del d.lgs. 
  n. 165/2001, ha la natura di una lex specialis risultante dai principi 
  costituzionali in materia di funzionamento e di organizzazione dei pubblici 
  servizi, decide di sospendere il giudizio e di sottoporre la questione alla 
  Corte.Orbene, com’è noto, il lavoro a termine è disciplinato dal d.lgs 6 
  settembre 2001, n. 368, che prevede la legittima instaurazione di 
  un rapporto di lavoro a tempo determinato tutte le volte in cui ricorrano ragioni 
  di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.Nel novero della 
  fattispecie dei rapporti a termine devono rientrare tutti i contratti reiterati, 
  indipendentemente dal periodo di stacco.Invero, la Corte di Giustizia è intervenuta 
  in merito con la sentenza del 04/07/2006, considerando non conforme alle finalità 
  della normativa europea la normativa nazionale che intenda per rapporti a tempo 
  determinato solo i contratti o rapporti di lavoro separati gli uni dagli altri 
  da un lasso temporale pari o non superiore a 20 giorni lavorativi, in quanto 
  tale previsione consentirebbe l’assunzione di lavoratori in modo precario per 
  anni, consentendo un eventuale utilizzo abusivo di tali rapporti da parte dei 
  datori di lavoro.
La 
  violazione di precise disposizioni imperative, sfocianti in ipotesi patologiche 
  del contratto a termine, comporta, quale effetto sanzionatorio la trasformazione 
  del rapporto di lavoro da determinato ad indeterminato.Effetto che è precluso 
  dal d.lgs n. 
  165 nel settore pubblico, in cui per il differente trattamento è 
  stata chiamata in causa anche la Corte Costituzionale che con la sentenza n. 
  89 del 2003, ha respinto la richiesta di incostituzionalità dell’articolo 36 
  del decreto legislativo citato. Il rigetto si è fondato sulla necessità di salvaguardare 
  il principio del concorso nell’accesso al pubblico impiego, la cui deroga è 
  legittima solo quando è posta a miglior tutela dell’interesse pubblico, nei 
  limiti della non manifesta irragionevolezza, ed è attuata mediante l’individuazione 
  per legge di casi eccezionali. Nel settore privato, invece, la conversione del 
  rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato è prevista dall'articolo 
  5 del d.lgs 368/2001 
  e scatta con efficacia retroattiva in modo automatico dalla data di stipula 
  del primo contratto, quando due assunzioni si siano succedute senza soluzione 
  di continuità, ovvero dalla data di assunzione di un secondo contratto a tempo 
  determinato, se la riassunzione sia intervenuta in un periodo di dieci o venti 
  giorni dalla data di scadenza del contratto (quando è rispettivamente di durata 
  inferiore o maggiore di sei mesi) ovvero ancora dal ventunesimo o dal trentunesimo 
  giorno successivo alla scadenza contrattuale, nel caso di prosecuzione indennizzata 
  del rapporto.Nel settore del pubblico impiego, diversamente, si nega l'applicazione 
  della conversione del rapporto, non tanto per la presenza di elementi di incompatibilità 
  intrinseci all'istituto, bensì in ragione della sussistenza di specifiche norme 
  di settore che escludono esplicitamente detta trasformazione.Al riguardo, la 
  Corte Europea di Giustizia - che nella sentenza 4.7.2006 aveva già affermato 
  la difformità al diritto comunitario di una legislazione nazionale che vieti 
  in maniera assoluta, solo nel settore pubblico, la trasformazione di una successione 
  di contratti, che hanno lo scopo di soddisfare fabbisogni permanenti e durevoli 
  del datore di lavoro, a tempo determinato in un contratto di lavoro a tempo 
  indeterminato - ha precisato che una normativa nazionale che preveda norme imperative 
  relative alla durata e al rinnovo dei contratti a tempo determinato deve poter 
  prevedere delle misure che presentino garanzie effettive di tutela dei lavoratori 
  al fine di sanzionare debitamente tale abuso ed eliminare le conseguenze della 
  violazione del diritto comunitario.Tanto premesso, – concludono i giudici della 
  Corte – l’attuale normativa nazionale italiana, che nel settore pubblico, in 
  caso di abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti 
  di lavoro a tempo determinato, esclude che questi ultimi siano trasformati in 
  contratti o in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, diversamente da come 
  avviene nel settore privato, in linea di principio, non osta, con il diritto 
  comunitario, se tale normativa contenga un’altra misura effettiva destinata 
  ad evitare e, se del caso, a sanzionare un utilizzo abusivo di una successione 
  di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante 
  nel settore pubblico. Sanzione che nel vigente ordinamento italiano trova applicazione 
  con il diritto ad un risarcimento del danno in favore del lavoratore interessato.
14/07/2006
TRASFERIMENTO DEL LAVORATORE
Trasferimento del lavoratore ad altra sede: 
  sulla legittimità del licenziamento
Corte 
  di Cassazione , sez. lavoro, sentenza 14.07.2006 n° 16015 
Per la validità ed efficacia del 
  trasferimento del lavoratore, non è necessario che il datore di lavoro contestualmente 
  indichi le ragioni tecniche, organizzative e produttive che determinano il provvedimento. 
  Lo ha ribadito la Sezione Lavoro della Cassazione, con la sentenza n. 16015 
  del 14 luglio 2006, richiamando l'art. 2103 c.c., il quale prescrive soltanto 
  che tali ragioni, ove contestate, risultino effettive e siano dimostrate, con 
  onere probatorio a carico dal datore di lavoro.
05/06/2006
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAVORO 
  - sentenza 25 maggio 2006 n. 12445 – Lavoro - Mobbing - Azioni di risarcimento 
  - Ex art. 2087 cod. civ. - Per violazione dell’obbligo di tutelare l’integrità 
  fisica e la personalità morale del lavoratore - Relativa responsabilità - Ha 
  natura contrattuale.
Ha 
  natura contrattuale la responsabilità del datore di lavoro per inadempimento 
  dell’obbligo ex art. 2087 cod. civ., che impone allo stesso di adottare 
  le misure di sicurezza e prevenzione che, "secondo la particolarità del lavoro, 
  l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la 
  personalità morale dei prestatori di lavoro". Nel caso di azione di risarcimento 
  dei danni per violazione dell’obbligo ex art. 2087 cod. civ. del datore 
  di lavoro di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, 
  mentre quest’ultimo è gravato - in forza del principio generale (ex art. 
  2697 cod. civ.) - dell’onere di provare il "fatto" costituente inadempimento 
  dell’obbligo di sicurezza nonché il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento 
  stesso ed il danno da lui subito, esula invece dall’onere probatorio a carico 
  del lavoratore - in deroga allo stesso principio generale - la prova della colpa 
  del datore di lavoro danneggiante, sebbene concorra ad integrare la fattispecie 
  costitutiva del diritto al risarcimento (come ad ogni altro rimedio contro il 
  medesimo inadempimento). Spetta invece al datore di lavoro convenuto, per la 
  natura contrattuale della responsabilità ex art. 2087 cod. civ., di provare 
  la non imputabilità dell’inadempimento. 
CORTE COSTITUZIONALE - sentenza 
  7 aprile 2006, n. 140 - Lavoro - Centralinisti non vedenti - Indennità 
  di mansione - Disciplina di cui all’art. 9, comma 1, della legge 29 marzo 1985, 
  n. 113 - Concessione della indennità solo ai centralinisti non vedenti occupati 
  in base alle norme relative al loro collocamento obbligatorio e non anche a 
  quelli assunti in via ordinaria - Questione di legittimità costituzionale - 
  Infondatezza - Interpretazione della norma - Necessità di riferire l’indennità 
  di mansione a tutti i centralinisti non vedenti, indipendentemente dalle modalità 
  di assunzione - Sussiste. 
Non 
  è fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento 
  agli artt. 3 e 36 della Costituzione - dell’art. 9, comma 1, della legge 29 
  marzo 1985, n. 113 (Aggiornamento della disciplina del collocamento al lavoro 
  e del rapporto di lavoro dei centralinisti non vedenti), nella parte in cui 
  consentirebbe di concedere l’indennità di mansione solo ai centralinisti non 
  vedenti occupati in base alle norme relative al loro collocamento obbligatorio 
  e non anche a quelli assunti in via ordinaria. Tale disposizione va infatti 
  interpretata nel senso che l’indennità di mansione ivi prevista si ponga essenzialmente 
  quale "corrispettivo" dell’obiettiva gravosità della prestazione lavorativa 
  connessa alla menomazione visiva, oltre che della particolare natura delle mansioni 
  espletate, nonché dell’impossibilità per i non vedenti di essere adibiti a mansioni 
  alternative. Il che rende del tutto irrilevante la particolare modalità di accesso 
  all’occupazione dei centralinisti non vedenti.
01/06/2006
DEMANSIONAMENTO DEL LAVORATORE E  PROVA  DEL DANNO: NOTA A CASSAZIONE, SS.UU. CIVILI, 
  SENTENZA DEL 24.3.06 N. 6572
Con la sentenza n. 6572 del 24 marzo 
  2006, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, intervengono a comporre 
  il contrasto  giurisprudenziale 
  sorto in ordine al riparto dell’onere della prova nella domanda di risarcimento 
  dei danni sofferti dal lavoratore per effetto del demansionamento professionale. 
  In particolare, la citata sentenza esamina la questione se il diritto del lavoratore 
  al risarcimento del danno, anche di natura esistenziale, consegua direttamente 
  ed in re ipsa al demansionamento o dequalificazione  o se il pregiudizio debba essere provato 
  di volta in volta dal lavoratore ai sensi dell’art. 2097 c.c..
Preliminarmente, occorre premettere 
  brevi cenni sulle  mansioni e sulla 
  relativa disciplina codicistica.  Le 
  mansioni individuano il contenuto della prestazione lavorativa; indicano, cioè,  l’insieme dei compiti e delle concrete 
  operazioni che il lavoratore è chiamato ad eseguire e le specifiche attività 
  lavorative esigibili dal datore di lavoro. Le mansioni a cui il lavoratore è 
  tenuto sono, in linea generale, indicate nel contratto di lavoro, come confermato 
  dall’art. 2103 c.c. secondo cui “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni 
  per le quali è stato assunto” e dall’art. 96 disp.att. c.c. che prevede 
  l’obbligo a carico del datore di lavoro di far conoscere al prestatore di lavoro, 
  al momento dell’assunzione, la categoria e la qualifica che gli sono state assegnate 
  in relazione alle mansioni per cui è stato assunto. Una peculiarità della disciplina 
  del rapporto di lavoro è costituita dal potere unilaterale del datore di lavoro 
  di modificare le mansioni del lavoratore rispetto a quanto convenuto (c.d. ius 
  variandi), potere  posto a garanzia delle prerogative  imprenditoriali nella gestione del personale. 
  Va, comunque, precisato che tale potere del datore di lavoro è sottoposto a 
  notevoli limitazioni e può essere esercitato solo entro rigorosi limiti. L’art. 
  2103 prevede, al riguardo,  che 
  il lavoratore, in alternativa alle mansioni per le quali è stato assunto, possa 
  essere adibito a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente 
  acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza 
  alcuna diminuzione della retribuzione.  In particolare, la norma consente la c.d. 
  mobilità orizzontale, cioè la facoltà di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti 
  alle ultime svolte, con pari retribuzione; consente la c.d. mobilità verticale, 
  cioè la facoltà di assegnare il lavoratore a mansioni superiori, con diritto 
  alla relativa retribuzione ed in tale ipotesi l’assegnazione diviene definitiva 
  decorsi tre mesi o i termini inferiori fissati  dai contatti collettivi mentre vieta la 
  c.d. mobilità verso il basso  e 
  cioè non consente la possibilità di assegnare il lavoratore a mansioni inferiori. 
  Lo ius variandi, dunque, non può esercitarsi mediante modifiche verso il basso 
  delle mansioni concordate e non sono ammessi accordi tra lavoratore e datore 
  che consentano a quest’ultimo un più ampio potere di modifica. Lo stesso art. 
  2103 c.c. prevede, infatti, all’ultimo comma, la nullità di ogni patto in tal 
  senso, trattandosi di materia non disponibile tra le parti del contratto. 
Con  
  la recente sentenza, la Suprema Corte si sofferma sulla nozione di demansionamento, 
  che costituisce il presupposto logico-giuridico del diritto del lavoratore al 
  risarcimento del danno precisando che il demansionamento non può ritenersi integrato 
  dalla sola revoca di un incarico dirigenziale, ancorché prestigioso e remunerativo; 
  diversamente opinando ne conseguirebbe l’impossibilità di modificare l’organizzazione 
  aziendale, in contrasto con i poteri riservati all’imprenditore dall’art. 2094 
  c.c. ed anche con i principi costituzionali (art. 41 Cost.). Relativamente al 
  problema del riparto dell’onere della prova nella domanda di risarcimento del 
  danno il Collegio aderisce all’indirizzo maggioritario tanto della dottrina 
  quanto della giurisprudenza, secondo cui la responsabilità del datore di lavoro 
  ha natura contrattuale; pertanto, la violazione degli obblighi nascenti dal 
  contratto ed in particolare il divieto di dequalificazione (art. 2103 c.c.)  
  e l’obbligo di tutela dell’integrità fisica  
  e della personalità del lavoratore (art. 2087 c.c.) integrano gli estremi 
  dell’inadempimento contrattuale. Osserva il Collegio che in tali casi l’illecito 
  consiste nella violazione di obblighi contrattuali, sanzionata con l’obbligo 
  di corresponsione della retribuzione.  
  Ma dall’inadempimento non deriva sempre ed automaticamente l’esistenza 
  del danno, nel senso che è in re ipsa nella potenzialità lesiva della condotta 
  del datore di lavoro ma, al contrario, esso deve essere provato dal lavoratore  
  in relazione alla fattispecie concreta, così come spetta al lavoratore 
  provare l’esistenza di un nesso causale fra l’inadempimento ed il danno.
    Così argomentando, la Corte 
  censura l’opposto orientamento giurisprudenziale secondo cui in caso di demansionamento 
  l’ammontare del risarcimento del danno può essere determinato dal giudice in 
  via equitativa, anche in mancanza di uno specifico elemento di prova da parte 
  del danneggiato e basandosi solo su elementi presuntivi.
09/05/2006
Giurisdizione e competenza in 
  materia di concorsi interni - CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. UNITE CIVILI - ordinanza 
  20 aprile 2006 n. 9168 – 
Sussiste la giurisdizione del 
  giudice amministrativo in materia di concorsi interni, quando questi ultimi 
  comportino un passaggio da un'area ad un'altra, mentre rimangono attratte alla 
  generale giurisdizione del giudice ordinario le controversie attinenti a concorsi 
  interni che comportino il passaggio da una qualifica ad un'altra, ma nell'ambito 
  della medesima area, ossia senza novazione oggettiva del rapporto di lavoro.  
  Ai sensi dell’art. 63, comma 4, d.lgs. 
  30 marzo 2001 n. 165, deve ritenersi che sussiste: a) la giurisdizione 
  del giudice amministrativo sulle controversie relative a concorsi per soli esterni; 
  b) identica giurisdizione su controversie relative a concorsi misti (restando 
  irrilevante che il posto da coprire sia compreso o meno nell'ambito della medesima 
  area funzionale alla quale sia riconducibile la posiziono di lavoro di interni 
  ammessi alla procedura selettiva, perchè, in tal caso, la circostanza che non 
  si tratti di passaggio ad un'area diversa viene vanificata dalla presenza di 
  possibili vincitori esterni, secondo il criterio di riparto originario); c) 
  ancora giurisdizione amministrativa quando si tratti di concorsi per soli interni 
  che comportino passaggio da un'"area" ad un'altra, spettando, poi, al giudice 
  del merito la verifica di legittimità delle norme che escludono l'apertura del 
  concorso all'esterno; d) invece giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie 
  attinenti a concorsi per soli interni, che comportino passaggio da una qualifica 
  ad altra, ma nell'ambito della medesima "area".  
  Così come i concorsi "misti" - tali perché aperti all'esterno - sono 
  attratti alla giurisdizione del giudice amministrativo, analogamente i concorsi 
  interni "misti", che riguardano sia la progressione nell'ambito della stessa 
  area, che tra aree diverse, sono parimenti attratti alla giurisdizione del giudice 
  amministrativo, in ragione di un generale principio di economicità processuale 
  che fa escludere che delle medesime operazioni concorsuali possano conoscere 
  contemporaneamente sia il giudice ordinario che quello amministrativo .
Non è ammissibile il riconoscimento ''per saltum'' di mansioni superiori
25/04/2005
Consiglio di Stato: la Pubblica Amministrazione deve contabilizzare mensilmente lo straordinario
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 77 del 13 gennaio 2005, precisando che una volta escluso che l’impiegato pubblico possa essere obbligato a lavorare gratuitamente per la p.a., è giocoforza ritenere che il lavoratore possa consapevolmente esercitare la scelta tra il prestare, o meno, lo straordinario, solo quando l’ammistrazione, dal canto suo, adempia diligentemente all’onere di rendere nota, mese per mese, la perdurante disponibilità di sufficienti risorse finanziarie da destinare alla retribuzione della specifica spettanza o, in caso contrario, quando l’amministrazione comunichi l’avvenuto esaurimento del massimo monte ore individuale e della conseguente esercitabilità, nel prosieguo del rapporto commutativo, della sola opzione per il riposo compensativo.
13/04/2005
TAR Lazio: non costituisce infortunio sul lavoro la caduta dalle scale condominiali mentre ci si reca in ufficio
Il Tar Lazio - Roma, sez. II bis, ha stabilito nella sentenza n. 2695 del 13 aprile 2005 che non configura la fattispecie dell’infortunio in itinere la caduta dalle scale condominiali di un lavoratore che si stia recando in ufficio.
Tali scale rientrano, infatti, per il Collegio -sia per definizione che per la natura stessa dei luoghi- nella nozione unitaria di proprietà immobiliare, poiché pur qualificandosi come beni di uso o godimento collettivo, appaiono inscindibili dalle singole proprietà individuali.
Ne deriva che l’evento dannoso avvenuto presso le scale condominiali si deve intendere come accaduto nel luogo di abitazione e non già sul percorso stradale che il dipendente copre allo scopo di raggiungere il luogo di lavoro.
Come ha sottolineato il Tribunale, perché vi siano gli estremi dell’istituto in esame è necessario infatti che l’episodio accada nelle “ordinarie vie di comunicazione che si dipartono dall’edificio di cui fa parte la casa di abitazione”. Pertanto, non solo non è indennizzabile quale infortunio in itinere l’evento dannoso verificatosi nell’abitazione (ovvero nel domicilio o nella dimora del lavoratore), ma nemmeno quello occorso in luoghi di comune proprietà privata.
L’indennizzabilità del lavoratore delle conseguenze pregiudizievoli di un simile accadimento presuppone, dunque, il contestuale verificarsi di due condizioni: l’assenza di rilevante e diretta responsabilità e, soprattutto, la sussistenza di un ambito esterno alla sfera di privata autonomia dell’interessato.
10/04/2005
CORTE DI CASSAZIONE: E' "MOBBING" ANCHE SE IL LAVORATORE NELLA SUA DENUNCIA NON LO CHIAMA COSI'
La Corte di Cassazione (sez. 
  lavoro, sentenza n. 6326 del 23 marzo 2005) ha precisato che quando il lavoratore 
  deduce nell'atto di citazione di aver subito un cambio di mansioni peggiorativo, 
  ingiustificato ed illegittimo e di essere stato oggetto complessivamente vessatorio 
  e antigiuridico, il Giudice del Lavoro, tenuto conto che queste circostanze 
  sono qualificabili come "mobbing", può pronunciare la condanna del datore di 
  lavoro a tale titolo.
  Questo, rileva la Corte, non costituisce una violazione del "principio dispositivo" 
  secondo cui nelle cause civili vige la regola della pronuncia solo su quanto 
  dedotto nell'atto di citazione. Il lavoratore, infatti, fa notare la Corte, 
  ha lamentato non solo il demansionamento, ma anche un comportamento del datore 
  di lavoro globalmente vessatorio, pur non definendolo "mobbing".
01/04/2005
Danno esistenziale: 
  risarcimento da mobbing nella pubblica amministrazione
Sentenza 
  del Tribunale di Agrigento del 1 febbraio 2005
Il Tribunale di 
  Agrigento in funzione di Giudice del lavoro ha stabilito che il lavoratore vittima 
  del mobbing che provi che le conseguenze pregiudizievoli sono in rapporto di 
  causalità con le attività persecutorie compiute per nuocerlo ha diritto alla 
  riparazione di tutti i danni sofferti. Trattandosi di riparare la lesione di 
  valori inerenti la persona, la liquidazione dovrà farsi in via equitativa. Così, 
  il Dirigente di un istituto scolastico è stato condannato al risarcimento dei 
  danni patrimoniali e non patrimoniali (danno biologico, morale ed esistenziale) 
  per la condotta mobbizzante dallo stesso tenuta nei confronti di un proprio 
  dipendente con funzione di Direttore amministrativo.
16/01/2005
Infortunio in itinere indennizzabile anche in caso di breve sosta nel tragitto
Una breve sosta nel tragitto compiuto dal lavoratore dalla propria abitazione al luogo di lavoro, che non alteri le condizioni di rischio per l’assicurato, non integra l’ipotesi dell' "interruzione” ai fini dell'esclusione dell’indennizzabilità dell’infortunio in itinere.
CORTE COSTITUZIONALE: Ord n. 1/2005
05/11/2004
La 
  Condotta antisindacale sussiste se il datore non versa le quote al sindacato.
Cassazione, 
  sez. lavoro, sentenza 26.07.2004 n° 14032
Quando il lavoratore invita il 
  datore a trattenere una quota della retribuzione ed a versarla al sindacato, 
  non fa altro che cedere parzialmente il proprio credito al sindacato stesso, 
  operazione che integra una cessione di credito, per la quale non è necessaria 
  l'accettazione del debitore ceduto, a cui è sufficiente notificare la cessione.
Sulla 
  base di tale assunto, con la sentenza n. 14032 del 26 luglio 2004, la Corte 
  di Cassazione ha stabilito che, nonostante l'abrogazione con referendum dei 
  commi 2 e 3 dell'art. 26 dello Statuto dei Lavoratori (L.300/70), il comportamento 
  del datore che nel caso di cessioni del credito operate dai lavoratori omette 
  di procedere alla trattenute ed al successivo versamento al sindacato designato 
  costituisce una condotta antisindacale.
La Suprema Corte ha inoltre ricordato 
  che che per integrare gli estremi della condotta antisindacale è sufficiente 
  che tale comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono 
  portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario (ma neppure sufficiente) 
  uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro.
11/05/2004
Dottorato:aspettativa retribuita al pubblico dipendente anche a tempo determinato
( Tribunale di Caltagirone, ordinanza 11.05.2004 )
Viene fatta definitiva chiarezza circa il portato innovativo della norma contenuta nella Finanziaria 2002 (Legge 448/2001 ex art. 52, comma 57), la quale, riferendosi genericamente a tutti i pubblici dipendenti, sancisce implicitamente l’estensione anche ai predetti dipendenti a tempo determinato del beneficio della conservazione piena della retribuzione, dissolvendo, così, i dubbi interpretativi che avevano attanagliato la P.A. arroccatasi per lo più nella posizione di limitare il predetto beneficio solo in capo ai dipendenti di ruolo.
Il Giudice del Lavoro nella pronuncia in esame, verificata la piena equiparazione tra docenti di ruolo e docenti supplenti anche alla luce del nuovo CCNL comparto Scuola del 24/07/2003 artt. 18 e 19, conclude richiamando – anche in capo alla docente supplente ricorrente – la ratio del favor prestatoris che viene rintracciata quale ispiratrice della normativa in materia di dottorato di ricerca senza borse di studio e contemporaneo diritto alla conservazione della retribuzione.
L'ordinanza di accoglimento delle ragioni fatte valere col ricorso cautelare da comunque conto di un'ampia argomentazione di stretto diritto, che ben può rappresentare un indirizzo da seguire soprattutto per le Amministrazioni chiamate alla concessione del beneficio indicato dalla Legge Finanziaria 2002".
23/04/2004
Infortunio "IN ITINERE" interviene la Cassazione
Con la presente si rende noto che la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con propria sentenza del 9.10.2003 n. 7717 si è pronunciata sull'infortunio "IN ITINERE".
Secondo la Corte, l'indennizzabilità dell'infortunio in itinere, subito dal lavoratore nel percorrere con mezzo proprio, la distanza fra la sua abitazione ed il luogo di lavoro, postula:
a) la sussistenza di un nesso eziologico tra il percorso seguito e l'evento;
b) la sussistenza di un nesso almeno occasionale tra itinerario seguito ed attività lavorativa;
c) la necessità dell'uso del veicolo privato, adoperato dal lavoratore, per per il collegamento tra abitazione e luogo di lavoro.
02/04/2004
L'assemblea sindacale può essere indetta solo a maggioranza
IL SINGOLO componente della RSU (Rappresentanza sindacale unitaria) non può indire l'assemblea sindacale.
Lo ha affermato la Corte d'Appello di Firenze con una sentenza del 2 aprile 2004 in cui è stato rigettato il ricorso presentato da un'organizzazione sindacale non rappresentativa del comparto scuola avverso la sentenza del giudice di primo grado per la parte in cui non aveva correttamente interpretato il disposto dell'art. 20 della legge 300/1970 e dell'art. 4 dell'Accordo interconfederale del 20 dicembre 1994. I giudici di secondo grado hanno, quindi, confermato il giudizio di primo grado sostenendo che ogni attività sindacale della RSU "deve essere manifestata all'esterno - nei confronti del suo interlocutore naturale - secondo il criterio della rappresentatività a maggioranza; esclusa quindi, ogni iniziativa della singola sigla". Anche perché il contratto "ha coerentemente escluso che l'assemblea - quale esercizio di un potere conferito al rappresentante non come guarentigia personale ma come funzione rappresentativa - possa essere indetta dalla singola sigla componente della RSU".
Pertanto, secondo i giudici, le prerogative dei singoli componenti la RSU consistono semplicemente nei diritti personali, quali la inamovibilità senza il nulla osta del sindacato di appartenenza ed i permessi sindacali.
17/03/2004
Il datore di lavoro deve vigilare sulla sicurezza
  (Cassazione 3213/04)
Il datore di lavoro è obbligato non solo ad 
  adottare tutte le misure di sicurezza necessarie per tutelare l'incolumità dei 
  dipendenti ma anche a vigilare sul rispetto delle stesse. Una sentenza della 
  Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha fornito alcuni chiarimenti in materia 
  di infortuni sul lavoro. La Cassazione, in particolare, ha spiegato che le norme 
  sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro intendono tutelare il lavoratore 
  anche dagli incidenti dovuti ad imperizia, negligenza ed imprudenza; per tali 
  motivi, ha precisato la Suprema Corte, il datore di lavoro deve essere ritenuto 
  responsabile dell'infortunio del lavoratore sia quando ometta di adottare le 
  idonee misure protettive sia quando non si accerti che di queste misure sia 
  stato fatto effettivamente uso da parte del dipendente, mentre è esonerato dalla 
  responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia stato del tutto 
  imprevedibile.
23/02/2004
Sezione Lavoro - Sentenza 15 gennaio 2004, n. 515
Le dimissioni di un lavoratore esasperato dal mobbing possono essere annullate. Lo ha stabilito la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione occupandosi del caso di una dattilografa licenziatasi dopo essere stata sottoposta a pressioni psicologiche.
05/02/2004
Verificare la veridicità delle accuse
La 
  P.A. deve verificare scrupolosamente la veridicità delle accuse mosse ad 
  un proprio dipendente prima di adottare un qualsiasi provvedimento disciplinare.
Lo 
  ha rimarcato il TAR del Lazio – Sezione II bis, con la sentenza n. 77/2004 che 
  ha annullato il provvedimento disciplinare nei confronti di un vigile accusato 
  dal proprio superiore di averlo ingiuriato in presenza di altre persone, cosa, 
  poi, riscontrata non vera.
Il 
  TAR del Lazio ha, quindi, ammonito la P.A. sulla necessità di sentire tutti 
  i testimoni prima di confermare accuse e di infliggere sanzioni disciplinari.
CONCORSI A PUBBLICI IMPIEGHI - Procedimento di concorso - Graduatoria
Nel campo del pubblico impiego non sussiste in via di principio un obbligo dell'amministrazione di procedere allo scorrimento della graduatoria per la copertura dei posti vacanti.
T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 17 dicembre 2001, n. 5479
RIPETIZIONE DI INDEBITO  
  - Codice civile (1942) art. 2033
  
  L'amministrazione pubblica ha il dovere, discendente dall'art. 2033 c.c., di 
  procedere al recupero di somme indebitamente corrisposte al titolo retributivo 
  a pubblici dipendenti, sicché l'eventuale buona fede del percipiente non costituisce 
  ostacolo all'adozione del relativo provvedimento, ma rileva soltanto in ordine 
  alle modalità del recupero, che devono essere tali da non incidere in maniera 
  eccessiva sulle esigenze di vita del debitore.
  T.A.R. Campania sez. I, Napoli, 3 marzo 1999, n. 623
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE  - Accesso 
  ai documenti amministrativi
  LS 7 agosto 1990 n. 241 l.
  
  Deve ammettersi il diritto di accesso ai documenti amministrativi (nella specie, 
  tabulati e ricevute relativi a pagamenti effettuati dall'amministrazione) anche 
  quando esso sia motivato con la finalita' di precostituire la prova dell'inesatto 
  adempimento della p.a., in vista di una futura azione risarcitoria in sede civile. 
  Puo' invero costituire, secondo i principi e secondo canoni di logicita', un 
  limite (ulteriore) all'accessibilita' degli atti e documenti amministrativi, 
  la sola evenienza dell'esposizione dell'amministrazione al rischio, concreto 
  e attuale, di patire un danno ingiusto, per effetto del consentito accesso, 
  non gia' l'ipotesi in cui l'uso lecito dei documenti del cui accesso si tratta 
  possa produrre lecitamente un effetto (quale una sentenza civile di condanna) 
  non vantaggioso, in termini patrimoniali, per l'amministrazione che forma o 
  detiene stabilmente i documenti medesimi.
  T.A.R. Campania sez. III, Napoli, 12 luglio 1996, n. 600
IMPIEGATI 
  DELLO STATO  - Riammissione in servizio
  
  Se è vero che nell'adottare il provvedimento di riammissione in servizio la 
  pubblica amministrazione gode di amplissimi margini di discrezionalità, è altrettanto 
  vero che quando non adduca a motivo di diniego ragioni ostative oggettive, quali 
  l'indisponibilità di posti per completezza dei ruoli, o la sopravvenienza di 
  disposizioni che ne impediscono l'adozione, l'amministrazione può legittimamente 
  rifiutare la riammissione in servizio solo con una motivazione congrua e aderente 
  alla situazione rappresentata dal ricorrente, con esplicitazione delle ragioni 
  della negativa valutazione di questa.
  T.A.R. Campania sez. I, Napoli, 25 maggio 1995, n. 166
PROVVEDIMENTO DI URGENZA PER LA REINTEGRAZIONE DI UNA GIORNALISTA NELLE MANSIONI DI CONDUTTRICE DI TELEGIORNALE – Per il pericolo di pregiudizio irreparabile dell’immagine e dell’avviamento professionale (Tribunale Civile di Roma, Sezione Lavoro ordinanza in data 23 dicembre 2000, Est. Vetritto)
NELL’ACCERTARE LA LEGITTIMITA’ DI UN LICENZIAMENTO ATTUATO PER RAGIONI ORGANIZZATIVE IL GIUDICE NON DEVE SINDACARE I MOTIVI DELLA DECISIONE IMPRENDITORIALE – L’indagine deve essere limitata alla effettività della soppressione del posto e alla non utilizzabilità del dipendente in altro settore dell’azienda (Cassazione Sezione Lavoro n. 15894 del 16 dicembre 2000, Pres. Trezza, Rel. La Terza)
FERIMENTO DEL GESTORE DI UN IMPIANTO DI DISTRIBUZIONE DI CARBURANTI IN OCCASIONE DI UNA RAPINA SULL’INCASSO GIORNALIERO – Costituisce infortunio sul lavoro (Cassazione Sezione Lavoro n. 15691 del 13 dicembre 2000, Pres. Mileo, Rel. Dell’Anno)
RIDUZIONE DELLA CAPACITA’ LAVORATIVA DELLA CASALINGA RIMASTA FERITA IN UN INCIDENTE STRADALE – Deve essere risarcita come danno patrimoniale, in aggiunta al risarcimento per il danno biologico e per il danno morale (Cassazione Sezione Terza Civile n. 15580 dell’11 dicembre 2000, Pres. Duva, Rel. Petti)
COPIATURA E APPROPRIAZIONE DEI DATI CONTENUTI NEL SISTEMA INFORMATICO DI UN’AZIENDA, CON L’AIUTO DI UN DIPENDENTE – Costituisce reato anche se non vi sia stata violazione delle misure protettive interne al sistema informatico (Cassazione Sezione Quinta Penale n. 12732 del 6 dicembre 2000, Pres. Foscarini, Rel. Nappi)
LA POSSIBILITA’ DI LICENZIAMENTO VERBALE NEL PERIODO DI PROVA NON CONTRASTA CON LA COSTITUZIONE – Esclusa la violazione del principio di eguaglianza e del diritto di difesa (Corte Costituzionale n. 541 del 4 dicembre 2000, Pres. e Red. Santosuosso)